Mia figlia sta preparando un esame di psicologia.
Studia sul tavolino, accanto al divanetto dove io beatamente cazzeggio sul web. La osservo, mentre sottolinea e sottolinea pagine fotocopiate con un evidenziatore arancione tra le mani, mani che conservano qualcosa delle recente infanzia, mani che sembrano quelle di una bambina che mette lo smalto sulle unghie per giocare a fare la grande: ma tanto lo so, che bambina non lo è più, che è davvero grande: lo è diventata in un battibaleno, con la determinazione che l'ha sempre contraddistinta, senza tentennamenti, senza chiedermi posso, senza aspettare che io fossi pronta. Ho un'improvvisa nostalgia di quando, ogni notte, arrivava puntuale nel lettone, un quattrozampe che mi piombava addosso e si infilava sotto il piumone reclamando la sua fetta di amore.
Studia con concentrazione, e intanto compie gesti inconsapevoli e rituali: tormenta i brufoletti, fa scrocchiare le dita, appoggia la fronte sulla mano mentre solleva la novità della frangia, tagliatale da un'amica mentre vacanzeggiavano a Praga.
E' bello vedere un figlio che studia. Se non fosse che l'istante di beatitudine dura poco. Perchè ora non studia, parla, anzi proclama:
"Ho capito, ho capito tutto, adesso. TU sei in PIENO burnout, mamma" .... Burnout, burnout.... è una parola che ho già sentito, come potrei mai dimenticarmene, la sentii per la prima volta quella mattina in cui litigai con un medico, nel corridoio di un ospedale. Voleva chiudermi la bocca con uno stranierismo, quel prepotente. So che vuol dire qualcosa come passato fuori, o dare fuori di matto, ma, per sicurezza, meglio informarsi: "Ah, sì? E ... cosa sarebbe?", le chiedo, cercando di assumere quello sperimentato tono di interesse miscelato a un pizzico di noncuranza che, a volte, me la manda buona. "E' l'incapacità di adattamento in situazioni di stress emotivo continuo derivato dall'ambiente di lavoro".
Studia sul tavolino, accanto al divanetto dove io beatamente cazzeggio sul web. La osservo, mentre sottolinea e sottolinea pagine fotocopiate con un evidenziatore arancione tra le mani, mani che conservano qualcosa delle recente infanzia, mani che sembrano quelle di una bambina che mette lo smalto sulle unghie per giocare a fare la grande: ma tanto lo so, che bambina non lo è più, che è davvero grande: lo è diventata in un battibaleno, con la determinazione che l'ha sempre contraddistinta, senza tentennamenti, senza chiedermi posso, senza aspettare che io fossi pronta. Ho un'improvvisa nostalgia di quando, ogni notte, arrivava puntuale nel lettone, un quattrozampe che mi piombava addosso e si infilava sotto il piumone reclamando la sua fetta di amore.
Studia con concentrazione, e intanto compie gesti inconsapevoli e rituali: tormenta i brufoletti, fa scrocchiare le dita, appoggia la fronte sulla mano mentre solleva la novità della frangia, tagliatale da un'amica mentre vacanzeggiavano a Praga.
E' bello vedere un figlio che studia. Se non fosse che l'istante di beatitudine dura poco. Perchè ora non studia, parla, anzi proclama:
"Ho capito, ho capito tutto, adesso. TU sei in PIENO burnout, mamma" .... Burnout, burnout.... è una parola che ho già sentito, come potrei mai dimenticarmene, la sentii per la prima volta quella mattina in cui litigai con un medico, nel corridoio di un ospedale. Voleva chiudermi la bocca con uno stranierismo, quel prepotente. So che vuol dire qualcosa come passato fuori, o dare fuori di matto, ma, per sicurezza, meglio informarsi: "Ah, sì? E ... cosa sarebbe?", le chiedo, cercando di assumere quello sperimentato tono di interesse miscelato a un pizzico di noncuranza che, a volte, me la manda buona. "E' l'incapacità di adattamento in situazioni di stress emotivo continuo derivato dall'ambiente di lavoro".
Non ci ho capito niente: la psicologia è una scienza difficile da capire, e ho sempre preferito quella spicciola della nonna Melania a quella dei manuali. Ma non posso snobbare così il suo studio e tornare al web, anche perchè lei non ha finito di tormentarmi.
"E hai tutte e tre le caratteristiche del burn out: primo, la frustrazione lavorativa, infatti torni a casa sempre sclerata e cerchi soddisfazione nel tuo cavolo di blog, secondo, la depersonalizzazione, infatti non ti interessi dei tuoi figli, terzo (e qui dà un'occhiata al libro, la vedo!) l'esaurimento emozionale.
"E la causa?" Le chiedo impassibile, visto che ho saputo di avere esaurito le emozioni.
Non l'ha ancora studiata, ma aggiunge, parlando tra sè, che durante l'esame parlerà di sua mamma, la porterà come esempio di burnout.
Non mi era mai capitato di essere l'oggetto di un "mostra e dimostra", speriamo almeno che prenda trenta.
"E hai tutte e tre le caratteristiche del burn out: primo, la frustrazione lavorativa, infatti torni a casa sempre sclerata e cerchi soddisfazione nel tuo cavolo di blog, secondo, la depersonalizzazione, infatti non ti interessi dei tuoi figli, terzo (e qui dà un'occhiata al libro, la vedo!) l'esaurimento emozionale.
"E la causa?" Le chiedo impassibile, visto che ho saputo di avere esaurito le emozioni.
Non l'ha ancora studiata, ma aggiunge, parlando tra sè, che durante l'esame parlerà di sua mamma, la porterà come esempio di burnout.
Non mi era mai capitato di essere l'oggetto di un "mostra e dimostra", speriamo almeno che prenda trenta.
Vabbè! Comunque sei sempre fortunata: se non le avessi chiesto nessuna spiegazione avresti sempre potuto sperare che questo burn out fosse una cosa buona da mangiare, oppure una nuova moda artistica, pittorica o musicale importa poco. Però quando un figlio ti dice "Lascia perdere, papà, tu certe cose non le puoi capire", non riesci ad equivocare nemmeno volendo: ti sta dando del rammollito, a dire una cosa piacevole.
RispondiEliminaQuindi in futuro non insistere, tieniti buono il tuo burn out e sogna prati verdi illuminati dal sole.
Burn out, fuoco di ritorno, mi pare di ricordare. Quando facevo l'assistente sociale sapevo che a un certo punto poteva capitare: arrivare a un punto tale di stress da non poterne più, da mollare tutto. In certe professioni il rischio è altissimo, ma non è per questo che ho scritto, bensì per dirti che il tuo è un post scritto benissimo... Mi è piaciuto proprio, come gli altri del resto
RispondiEliminaGrazie Giorgio, diciamo che ci ho messo lo stesso impegno che mia figlia ci metteva nello studio di quel cavolo di burnout. Diciamo che l'ho scritto dietro suo perentorio invito: -e adesso scrivilo, sul blog!!- , diciamo che l'ho scolpito a grandi scalpellate lì per lì, e poi nei giorni seguenti ci ho rimesso mano infinite volte, ritoccandolo lisciandolo e rifinendolo. E se non fosse stato per l'urgenza della committente, me lo sarei coccolato ancora un pò, perchè uno scritto che ti piace è come un figlio, non vorresti mai lasciarlo andare.
RispondiEliminaPost meraviglioso, per contenuto e stile. Il bello nel vedere i figli studiare con impegno e responsabilità è che ti rendi conto di essere riuscita ad inculcar loro il senso del dovere. Ed inoltre, quando è tuo figlio che riesce ad insegnarti qualcosa, in quel momento cresce in lui la sicurezza di sè, utile per affrontare il mondo, ed in te, madre, l'orgoglio di vederlo capace.
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