Ho trovato la fotocopia di una lettera scritta a un amico ai tempi della naia, ai tempi in cui la naia poteva devastare o comunque cambiare un ragazzo, che partiva in un modo e tornava in un altro. I due fogli sono lucidi, come le fotocopie di una volta, e le parole sono scritte con la macchina per scrivere, di quelle che, se picchiavi i tasti troppo forte, facevano i buchi nel foglio. Ho provato tenerezza non per il destinatario della lettera, della cui identità nemmeno sono sicura, ma per la ragazza che ero allora, disarmata e fragile, sciocca e maledettamente egocentrica.
E' una sera come le altre.
E' venuto buio presto, troppo presto: e già non si riesce più a guardarsi negli occhi.
Eppure è estate, e questo mese infuocato e distratto trascina le sue giornate pigre e piene: una vacanza troppo corta per tanti, per troppi.
Ci sono infinite stelle nel cielo, stasera, limpide e lontanissime, le uniche luci naturali, occhi vigili e rassicuranti che ci dicono che il cielo è sempre lì, sopra di noi.
Ognuno vaga, assorto o meno, nei propri pensieri.
Nessuno è allegro, io sono triste e tu, tristissimo, non senti ciò che si dice intorno a te, troppo stretto nel tuo scoglio di tristezza, troppo lontano da noi. Prima di restare solo per un altro mese ti senti già solo, e lo sei già, perchè il nostro dolore è impotente quanto potente è la tua solitudine, ombra che vaga inquieta davanti ai tuoi occhi scuri, al tuo viso sincero.
Pensi a chissà che cosa, e io non posso entrare nei tuoi pensieri.
Quattro ombre diverse camminano in fretta, l'una accanto all'altra, il treno non è molto lontano, quel treno che ti porterà via dalla tua casa, dai tuoi amici, dalle lunghe sere e dalle stanche mattine, dal tuo mondo insomma.
E' qui, i baci delle ragazze del gruppo sono d'obbligo, ai ragazzi solo uno sguardo d'intesa. Loro l'hanno già fatta, la naia, sanno cosa vuol dire partire, un'altra volta, sempre più soli.
Un istante di sguardi con gli amici più cari e il treno è già ripartito.
Rimaniamo solo noi nella stazione, tristi e muti, il silenzio e la tua presenza sono nell'aria, si possono toccare, emettono tristi lamenti, è meglio andare a casa.
Ora sono qui nella mia cameretta a scrivere, tanto per dare uno sfogo alla tristezza che mi sommerge, e non posso darti la dolcezza di dormire nel proprio letto, sfidando il caldo e le zanzare. La dolcezza di scrivere sotto una luce debole, di sentire solo il rumore della notte, di sapere che il sonno mi calmerà sfiorandomi il viso con dolci carezze.
A te che sei seduto su una panca di legno in partenza per una notte insonne, ai tuoi pensieri bastardi, lunghi incubi che si trascinano come una lunga galleria buia;
a te che starai sprofondando in un pozzo di solitudine, in lacrime disperate e ribelli,
a te non posso dare niente.
Nemmeno il fatto che ti sto pensando, perchè non sono io la ragazza che tu sogni e che penserai spesso.
Sono solo tua amica,
ti voglio bene
e sono molto triste,
ma chissà se a te servirà saperlo.
Bellissima.
RispondiEliminaPer quanto riguarda la "naja", che pure io ho fatto, credo non sia stato un bene la sua soppressione. Era infatti l'ultimo rito di iniziazione rimasto ai giovani, quel passaggio che consentiva (obbligava, diciamo) loro di staccarsi dalla famiglia e cominciare a conquistarsi una propria autonomia, impedendo, come avviene oggi, adolescenze che non finiscono più.
Ciao.
Io la Naia l'ho odiata prima perché mi portava via gli amici, poi perché me li restituiva cambiati, quasi sempre in peggio.
EliminaNon sono ancora riuscito a trovare un qualcosa che renda positivo il mio anno di Naja: e si che che sono stato tanto tempo a Roma nella banda musicale. Mi sono sempre sentito fuori luogo a cominciare dal giorno della partenza che ho anche descritto in un racconto presente sul mio blog "La partenza del soldato". Non lo so. Prima avevo sperimentato il collegio ed ero lontano da casa per studi e lavoro già da cinque anni, ma ancora ripeto non trovo segnali di valore in quell'anno. Grazie
RispondiEliminaAndrò a leggere il tuo racconto allora!
Eliminaehm ... dove lo trovo?
EliminaEccolo https://www.ferrucciogianola.com/2017/10/la-partenza-del-soldato.html
EliminaNon credo di averti letta sciocca o egocentrica.
RispondiEliminaForse solo giovane, con quel che ne consegue, ma sincera.
Moz-
forse tutti i giovani sono stupidi ed egocentrici, non credi?
EliminaIo l'ho vissuta da sorella, mio fratello partì nel 1994, ma per lui fu una bella esperienza, erano periodi in cui i vertici militari erano già stati sensibilizzati contro il nonnismo.
RispondiEliminaecco brava, il nonnismo negli anni 80 era ancora fortissimo, poteva devastare anime fragili come quelle del mio amico.
EliminaCiao Silvia,una bellissima lettera la tua scritta con sentimento e forse con un poco di amore,in un tempo,quando i sentimenti volavano sulle ali delle Poste italiane.Per il Servizio militare obbligatorio,che io triestino ho svolto in Sardegna,non credo possa aver traumatizzato nessuno,anzi era un modo per conoscere altri luoghi e altre persone.
RispondiEliminaUn caro saluto.fulvio
Ho dimenticato di mettere la data, era il 1981, quindi ti confermo che la lettera fu scritta per amicizia allo stato puro, essendo io fidanzata con il mio attuale marito, e non avendo provato mai nulla di più per quel carissimo amico
EliminaLa mia era solo una opinione,nel tuo caso erronea,un grande affetto in una scrittura, può essere scambiato per amore.
EliminaCiao fulvio
Amicizia e amore ... sentimenti divisi da una linea sottile ...
EliminaMa almeno ti ricordi se ti ha risposto? No, perché se non l'ha fatto era un pistola. A me più che egocentrica sembravi più che l'altro pessimista come un poeta maledetto tipo Baudelaire.
RispondiEliminaNon so, dovrei scartabellare il mio baule di lettere, lo farò e con un confronto di date ti saprò dire. Pessimista certamente, e lo sono ancora!
Eliminache meraviglia, quasi brada
RispondiEliminanessuno mi ha mai dato della brada!
RispondiEliminaSento in quella lettera un intenso e bellissimo afflato giovanile. Concordo con te la naia era una cosa pessima. io appartengo ad una generazione che già poteva scegliere il servizio civile e così feci.
RispondiEliminaEd è stata un'esperienza positiva?
Eliminabellissima… io sono stato uno degli ultimi obiettori di coscienza, poi divenuto servizio civile.
RispondiEliminaHo conosciuto tanti obiettori di coscienza nel mio posto di lavoro. A volte erano peggio degli allievi, altre volte senza infamia senza lode, alcuni bravissimi ragazzi.
RispondiEliminaLa naja non era abbastanza naja e quello era l'unico vero problema.
RispondiEliminaQui non mi rivolgo alle ragazze che ne erano esentate o a quelli che si sono esentati da soli, che hanno il coraggio di auto-nobilitarsi definendosi con il termine falso e ipocrita di "obbiettori", quando l'unica cosa a cui obbiettavano era l'incomodo. Non cercate nemmeno di vendermi la fola che il servizio civile era impegnativo tanto quanto o più della naja, di cui non sapete nulla se non per sentito dire.
Non mi rivolgo nemmeno a chi ha fatto la naja per modo di dire in qualche ufficio comando in centro di qualche città d'arte.
Chi ha fatto la naja sul serio sa che non erano tanto i disagi, cacare in cento in una turca, non dormire, non lavarsi, mangiare male, eventualmente rischiare la propria incolumità maneggiando armi e macchinari.
Il vero problema era che l'apparato che ne faceva un mestiere, cioè ufficiali e graduati, tranne rare e apprezzabili eccezioni, invece di motivare i ragazzi chiamati alle armi facevano di tutto, di proposito o senza nemmeno accorgersene, per demotivarli, togliendo il senso e lo scopo a tutta la faccenda e buttandogli in faccia senza ritegno tutti i vizi del "pubblico impiego" concepito come refugium peccatorum.
Vi faccio un esempio banale. La vestizione. Metà del corredo non te lo consegnano perché "manca". Pazienza, ti illudi in un primo momento, l'avranno dato ai terremotati o agli Albanesi.
Poi scendi dall'autocarro al "Corpo" e ti dicono di andare in magazzino a ritirare almeno la giacca a vento, che magari agli Alpini può servire. Arrivi li e ti danno la giacca indossata almeno per un anno di naja se non due da qualcuno che ti ha preceduto, non una giacca nuova. La cosa umiliante però è che te la danno non lavata, con tutto l'unto sul collo e sui polsi e con i gomiti stracciati, cosi che tu sei costretto a dare una lavata sommaria al cesso e a tirare fuori la borsina cucito e fare un paio di rammendi di fortuna.
Li cominci a farti una idea di come funziona non la Naja ma l'intera Pubblica Amministrazione italiana. Che parte una fornitura di qualsiasi cosa, che siano scarpe o prosciutti e, fatta la tara tra quello che viene pagato e quello che viene consegnato, durante il tragitto tra la partenza e l'arrivo misteriosamente sparisce una quota parte, per ogni tratta che la fornitura deve fare tra un magazzino e l'altro. Quando poi si arriva al magazzino, qualche "Servitore dello Stato" pensa di applicare una sua personale compensazione per la servitù inventando un espediente da Arlecchino o Pulcinella come riciclare una uniforme sporca e stracciata e cosi fare sparire quella nuova, che poi finirà in qualche mercato o negozio di surplus.
Non finisce qui. Dopo avere rammendato le maniche della giacca, il giorno dopo piove e viene ordinato di presentarsi in adunata con la giacca a vento. Il comandante della compagnia ti vede e si incazza, che non è possibile che un soldato del suo comando si presenti conciato come un barbone. Allora ti dice di andare dal tale maresciallo a nome suo che ti dia una giacca decente. Non una nuova, ben inteso, una che fosse stata indossata da uno "scritturale", cioè uno che stava in ufficio e quindi non fosse a brandelli. Per lavarla, si fa come per tutto, si esce di nascosto con qualche automezzo di servizio e la si porta in una lavanderia del paese.
EliminaMa attenzione, gli automezzi sono 10, metà sono fermi perché vengono smontati per fare funzionare l'altra metà. La benzina? In teoria devi segnare quanta ne metti e quanta ne consumi ma questo è un modo semplice perché qualcuno, cosi come spariscono le giacche a vento, faccia il pieno alla sua auto privata.
Il vero "nonnismo" non esiste(va), si confonde con un altro meccanismo inevitabile. I soldati sono (erano) selezionati sulla base dei dati antropometrici ed eventualmente sui titolo di studio, che per i diciottenni al massimo era un diploma superiore. Questo significa(va) che ti puoi (potevi) trovare in camerata con dei criminali, gente che prima di arrivare li, a casa sua viveva di spaccio di droga, furti, rapine, pestaggi, perfino omicidi. Oppure dei devianti e/o, psicopatici e malati di mente di ogni sorta. Non era la naja in se stessa ma la convivenza forzata con un campionario di umanità eterogeneo all'interno del quale c'era qualsiasi cosa. Tanto più alta la probabilità quanto più generico e numeroso il contingente in questione.
Siccome ufficiali e graduati ne fanno (facevano) una questione tipo le Poste o le Ferrovie, la vita in caserma è (era) in gran parte una autogestione. Una autogestione che in certi casi riesce (riusciva) a contenere lo "pseudo-nonnismo" conseguente alla presenza di criminali o psicopatici e un altri casi no.
Non è (era) la naja a fare si che venissero i carabinieri coi cani antidroga a perquisire gli armadietti e che tizio fosse trovato col panetto di "roba". Che poi la sera dalla stanza in fondo alla camerata si alzava inevitabile la nebbia dolciastra. Il giorno dopo il soldato Pincopalla prendeva il camion con gli occhi sbarrati e finiva nel fosso, peggio per i poveri sfigati che sedevano nel cassone dietro.
Poi chiedetevi perché durante i servizi armati c'erano tipo 12 soldati con 12 fucili ma solo 2 caricatori tra tutti che erano dati in consegna ad un caporale, che era tale solo perché sembrava uno "normale", il quale doveva darli al cambio della guardia e farseli ridare alla fine di ogni turno, stando attento che nessuno li manomettesse e contando ogni volta che non mancasse qualche proiettile.
Poi il suddetto caporale nel mezzo della notte, come se non bastasse quanto già detto, alzava lo sguardo e vedeva il tale capitano che fissava da sopra un cavalcavia, perché si vede che quella notte non aveva di meglio da fare che uscire di casa per controllare che le guardie uscissero e rientrassero come di dovere.
Questa è (NON ERA) l'Italia, cicci.
Il "Pubblico" e' una sorta di pietra filosofale al contrario: tutto cio' che tocca diventa sciatto, inefficiente, malfunzionante, storto, (piu') corrotto.
Eliminadevo cercare delle lettere ricevute tra la fine degli anni 80 e l'inizio degli anni 90 da Lorenzo, che stava e sta tuttora Negli States. Era un mio amico di gioventù.... pensa che oggi che ci sono le mail, whatsapp, messenger, non ci scriviamo mai
RispondiEliminaTutte queste diavolerie moderne che pure sono comodissime non resisteranno nel tempo come succede invece per il cartaceo. Moriranno con la morte o con una semplice malattia del p.c. o del telefono.
EliminaNon ci trovo nulla di sciocco o di egocentrico. Hai comunicato al tuo amico sotto naja che non avevi alcun trasporto per lui e lo hai fatto con una bella lettera.
RispondiEliminaPerche' fustigarti cosi'?
C'e' un po' di enfasi su alcuni caratterizzazioni emotive di cio' che stava vivendo lui ma per quell'eta' e' normale, direi.
Intendevo in generale non nello specifico della lettera.
RispondiEliminaEcco giusto c'è troppa enfasi ora mi è chiaro cosa non mi aveva convinta a una prima lettura.
Il bello del bloggare è questo imparare dai commenti, di cui vi ringrazio.
Certo che sembra un altro mondo... Ricordo molto bene quando il mio fidanzato (ora mio marito) partì per la naja, fu uno dei momenti più brutti della mia vita, poi allora ci si poteva solo scrivere, anche le telefonate erano una rarità. Sono contenta che ai miei figli sia stata risparmiata questa esperienza.
RispondiEliminaUn amico mi raccontava che ogni volta che gli arrivava una mia lettera doveva fare un centinaio di flessioni prima di venirne in possesso ... e più la busta era misteriosa o speciale maggiori erano le angherie. Così diradai la corrispondenza, e mai più personalizzai le buste.
EliminaNè sciocca, nè egocentrica, cara Silvia, ma solo romantica !
RispondiEliminaQuel giovane, se mai esiste ancora da qualche e comunque sia diventato dopo ben 38 anni, serberà un dolcissimo ricordo di te, e - a mio parere "non" errante - ti risponderebbe così :
C’ è un sole che riscalda qui d’ intorno,
come se, intanto, ci colpisse il cuore
una malinconia che morde il giorno,
come un cercare mesto dell’ amore !
C’ era una volta un cielo e mille soli,
c’ eravamo noi, i nostri amori, i nostri voli,
poi nulla più …. sul fare della sera,
ma lei rimase bella là dov’ era !
Che importa, allora, o cara amica mia ???
Che importa mai se il tempo non perdona ???
Nel sogno, esiste ancor la nostra via …
là c' è il tuo cuore … ed il suo Amor mi dona ! 💕
Ma che bella poesia, complimenti!!
RispondiEliminaGrazie ... Silvia !
RispondiEliminaIl fatto è che, l' esser romantico ( sì .... lo sono, e non me ne vergogno ) mi suscita, non di rado, pensieri che altri chiamano poesia !
Certo, ora, la mia vita è cambiata di colpo, da quel brutale 30 aprile scorso, non sono più un Cavaliere Errante senza macchia e senza paura .... oggi sono solo un Cavaliere dal cuore spezzato, ma amo ancora mettermi nei panni di chi ha amato ( riamato ??? ), e ricostruire nel suo cuore quelle emozioni che, l' amore perduto, gli conferì un giorno lontano !
Quanto al servizio militare, al di là delle angherie e delle amarezze subite, io i miei quindici mesi trascorsi in divisa in quel di Pesaro ancora li rimpiango, poichè mi fecero diventare, finalmente, un uomo normale ... da quel giovane viziato che ero !
No ho fatto il servizio civile solo perché allora, nel 1980, durava ancora due anni. L'ho sofferto molto il servizio militare, odio tutto ciò che è "militare" da allora.. trovai un ambiente inutile e ipocrita.. le brutture incisero poco, psicologicamente, ma ammetto che spiriti molto sensibili, potessero avvertirne lo shock per molto tempo, a venire..
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