"La felicità non la trovi in un libro" potrebbe essere, paradossalmente, la sintesi estrema di questo libro, che fa venire l'acquolina in bocca sia per il titolo sia per quei cioccolatini in copertina.
La felicità non la trovi in un libro, nè in QUESTO nè in QUELL'ALTRO, contenuto in questo. QUESTO libro - carino, ma tirato troppo alla lunga- prende in giro L'ALTRO, cioè i manuali di auto-aiuto, e quindi la creduloneria degli americani, pronti a seguire ogni moda del momento, ogni santone che si affacci all’orizzonte, con la sua barba , la sua coreografia e le sue devianze consumistiche.
La cosa che più mi è piaciuta di questo libro non è tanto questo filo conduttore, quanto un corollario, un affascinante oggetto che la prefazione fa intendere esista veramente:
“THEY HAVE A WORD FOR IT” , di un certo Howard Rheingold: un dizionario di parole presenti in altre lingue ma assenti in quella inglese. “Interi sentimenti, interi concetti che restano inespressi per il semplice motivo che non è mai stata coniata una parola in grado di definirli”.
Allora è per questo che a volte non troviamo "le parole per dirlo!" (che è anche il titolo di un bellissimo libro)
Mancano davvero!
Purtroppo di queste parole, nelle 300 pagine del libro, l'autore ce ne regala solo 4:
MONO-NO-AWARÈ, “la tristezza delle cose”, un termine giapponese che definiva l’eterno pathos che fa capolino appena sotto la superficie della vita.
MOKITA, che nella lingua kiriwana della Nuova Guinea indica “la verità di cui nessuno parla”. (Si riferisce al tacito accordo tra le persone di evitare chiare allusioni a certi segreti ben noti, come il vizio di alzare il gomito della zia Louise o l’inconfessabile omosessualità dello zio Fred)
SCHADENFREUDE: il piacere che si trae assistendo alle disgrazie altrui: una parola tedesca (ovviamente)
FEIERABEND, “quel caratteristico umore festoso che invade le persone al termine di una giornata di lavoro, una specie di calda euforia rilassata
Non ho capito il senso di quell’ovviamente riferito al termine SCHADENFREUDE. Ovviamente in che senso? Nel senso che i tedeschi sono geneticamente predisposti al cinismo? (N.o. che vivi in cruccolandia, me lo spieghi?)
Un'altra cosa che mi chiedo è perchè, avendo a disposizione un vocabolario intero, l'autore abbia riportato una parola dal significato così brutto.
MONO-NO-AWARÈ: la tristezza di tutte le cose, anche di quelle belle, infatti in qualche modo nel momento in cui le hai per te, già ti rammarichi perché sai che si esauriranno in fretta.
RispondiEliminaMOKITA: chi di noi non conserva gelosamente qualche verità che scotta, e che farebbe male a tutti, ma ancor più a se stessi se venisse rivelata?
SCHADENFREUDE: ovviamente significa che l'autore non conosce i tedeschi che per sentito dire, per tutti quei luoghi comuni in seguito ai quali vengono mal giudicati. Ho trovato tantissima Schadenfreude a casa mia, in Italia, mascherata da compartecipazione per una disgrazia, per qualcosa che va male. Ho trovato tantissimo aiuto da gente tedesca che non avevo mai frequentato. Cioè a dire: tutto il mondo è paese ed il buono e il cattivo sono da tutte le parti -altro esimio ed abusato luogo comune.
FEIERABEND: letteralmente serata libera. Qui andrebbero dette due parole.
Ho lavorato in Italia, in Francia, in Spagna, insieme a cittadini di altri continenti, ma da nessuna parte c'è quella gioia pulita quando si arriva agli ultimi dieci minuti di lavoro, che si respira qui in Germania. Forse perché qui il lavoro è il più importante motivo di vita.
Gli italiani lavorano per vivere, come i francesi e gli spagnoli; i tedeschi vivono per lavorare.
Quando termina una giornata in cui hanno dato tutto, soddisfacendo al proprio spirito, si sentono in pace e godono -a modo loro, cioè con una buona birra fresca- del sopraggiunto riposo.
Dai, ragazzi: non sono così cattivi i crucchi e piantiamola di pensare al nazismo. Tenete presente che le prime vittime di quella feroce dittatura sono stati i tedeschi. Io l'ho capito, anche se mi è occorso tanto tempo.
... e pensare che gli esquimesi hanno 20 modi diversi per dire la "neve"...bhè, certo loro se ne intendono!!
RispondiEliminaIACO, grazie del commento.
RispondiEliminaLa poesia leopardiana non è tutta all'insegna del MONO-NO-AWARÈ?
MOKITA è, tra le quattro, la parola più fascinosa. MOKITA come una moka che appare fredda ma se la sfiori scotta, perchè la verità è dentro, nel caffè che è appena salito.
SCHADENFREUDE: forse l'autore voleva non tanto denigrare i crucchi ma fare un complimento, affermando che loro sono capaci più di altri di spiegare i sentimenti dando ad essi un nome. Tu stesso mi parlasti di qualcosa del genere, ma me ne sfugge il ricordo.
FEIERABEND: dici che gli italiani lavorano per vivere perchè non conosci i brianzoli. Io comunque mi dissocio da questa etica.
ANDRE, veramente? E perchè? Ci sono venti tipi di neve diverse?
RispondiEliminanon son mela non son pera, ho la forma di una sfera, il mio succo nutriente è una bibita eccellente, non procuro mal di pancia ho la buccia e son.....???? quella cosa lì credo che in Esquimia non sappaino nemmeno che esiste, come molte altre. Ma credo appunto che di neve se ne intendano eccome. 20 tipi diversi? anche a me sembravano tanti eppure, a pensarci bene.....
RispondiEliminaCosa ti sei fumato stamattina?
RispondiEliminaPensa che io non ho fumato niente ma ho risposto pera. Poi ho riletto e ho risposto banana. Poi ho riletto e ho risposto: ARANCIA! Evvai!
Questo perchè tu abbia un'idea del mio attuale livello di concentrazione mentale. (E se mettessi la testa nella neve?)
Sì, tutta la poesia leopardiana è un Mono-no-awaré, e non soltanto quella; pensa ai romantici tedeschi tipo Hölderlin.
RispondiEliminaConosco i brianzoli per sentito dire. Non so quindi se abbiano il culto del lavoro come questi qui coi quali ho a che fare ogni giorno.
In Germany gli uomini lavorano e le donne dirigono. Anche in Brianza?
Una domandina facile facile: ti firmi Silvia adesso? Cambi pelle? Prima Pimpa, poi Fuma, poi di nuovo Pimpa, adesso ti riposi nell'originale.
Sei un tantino insoddisfatta o mi sbaglio?
(Questa era la domandina facile facile)
In Brianza lavorano tutti ... o meglio, lavoravano, prima della crisi, adesso sono cazzi anche per i brianzoli. Cassa integrazione e fabbriche che chiudono sono all'ordine del giorno, nei discorsi alla macchinetta del caffè, nelle cronache locali, negli sguardi preoccupati di colleghi parenti e amici. Alla faccia di tutte le palle sulla ripresa economica sbandierate da un esimio abitante della Brianza, un cavaliere del lavoro, la cui ex moglie, pensa, poveretta, deve traslocare dalla villa di famiglia perchè non riesce più a mantenerla!!
RispondiEliminaEro arcistufa di quella stupida Pimpa.
In che cosa era stupida "Pimpa" e in che cosa "Silvia" si dissocia da lei?
RispondiEliminaPimpa fu una scelta casuale: era il nick col quale avevo pubblicato on line per la prima volta un racconto, vincendo il primo premio; quella volta avevo usato uno pseudonimo perchè il raccontino parlava di persone che conoscevo.
RispondiEliminaNon ci stare a fare grandi ragionamenti su un nick, è solo una maschera, che in questo momento mi appare stupida perchè troppo spensierata per rappresentarmi. E poi, non è il concetto stesso di nick ad essere ridicolo?
(vedi commenti al post precedente)
ciao
Dietro tuo suggerimento sono andata a leggere i commenti al post precedente ed ora mi è tutto più chiaro. Mia cara Silvia, permettimi di spronarti ad avere maggiore autostima e a non lasciarti influenzare troppo dalle critiche altrui. Sai che ho sempre apprezzato il tuo modo di scrivere e di gestire il blog e ritengo che
RispondiEliminaNESSUN blogger abbia da insegnarti niente a riguardo. Una cosa mi intristisce: vedo che c'è tanta gente frustrata e infelice in giro. Comunque sappi che apprezzo molto di più il tuo vero nome ai vari pseudonimi usati finora.
Ad onore dei tedeschi devo dire che le disgrazie, alle volte, sono cercate, volute e ben meritate. In quel caso danno, forse, un briciolo di piacere dettato dal senso di giustizia.
RispondiEliminaa cosa ti riferisci esattamente?
RispondiEliminaA tutte quelle persone che sbagliano consapevolmente, sapendo di sbagliare e rischiando le conseguenze. A tutte le persone che cerchiamo di aiutare e non ci danno retta, nonostante si rendano conto di aver torto.
RispondiEliminaEd in ogni caso è una soddisfazione limitata, almeno per me, all'idea che da quel male abbiano ad imparare qualcosa che gli impedisca di procurarsene altro peggiore.
O, per contro, alla soddisfazione per le disgrazie di chi ha fatto tanto male agli altri.
Concordo solo con l'ultima.
RispondiEliminaPer il resto, penso che sia difficile aiutare e dare consigli, a volte persino pretenzioso.
Così come è difficile accettare e seguirli, questi consigli, perchè alla fine tutti preferiamo sbagliare con la nostra testa che con quella di un altro.
Io ho capito una cosa nella vita: se devo imparare solo dai miei errori sarò costretto a farli tutti, se posso imparare dagli errori altrui me ne risparmierò parecchi...
RispondiElimina;-)
Certo, nel primo caso non si parla di disgrazie "vere", quanto di "lezioni della vita", d'altronde, se uno/a non dà ascolto e ha altro sistema per imparare...
"e ha altro sistema per imparare..."
RispondiEliminaErrata corrige: "e NON ha altro sistema per imparare..."
Niente di grave, emmebi. Pensa che stamattina non ho fatto in tempo a prendere in mano l'unità (mio padre che voleva farmi leggere un articolo sulla SUA mitica Pirelli) e all'istante ho trovato due errori, dico DUE. Sulla stessa pagina. C'era una frase monca, come è successo a te, e un' alluvione scritto senza apostrofo. Poi ho ridato il giornale a papi, chè di tronchetti provera non ne avevo voglia di prima mattina, ho aperto il corriere della sera di martedì e ... acc... subito un errore, nemmeno mi ricordo quale. Che dici, in quel posto dove stampano i giornali non c'è una buon'anima che possa rileggere sotto modico compenso?
RispondiEliminaSecondo me ce l'hanno, quella persona, e non sa leggere... ma tanto non importa a nessuno.
RispondiEliminaIo ne traggo profezie pessimistiche.
post interessante, foto pazzesche, effervescente con la i terribile.
RispondiEliminaMa SE una volta ROMA era CAPUT MUNDI, ora cosa è?
'CAPUT...TANA!!!
RispondiElimina:-/
O forse, per stare sul serio, "Caput Nullis", è più esatto.
ma caputtana dà più l'idea. ;)
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