Belle, eh? Due rocce che si baciano, si combaciano,
si equilibrano, si sostengono .
Forse c’è
stato un tempo in cui queste due rocce non
erano unite.
Me le immagino entrambe in posizione eretta, una a sinistra e l’altra a destra, fieramente e aspramente rivolte verso l’alto, verso l’alto del cielo, come si
confà a ogni roccia che si rispetti. Il
roccione di destra più alto e imponente,
la roccetta di sinistra più bassa, più umile ma ugualmente orgogliosa.
Me le immagino per
millenni vicine ma impossibilitate
a vedersi, separate da una fitta foresta.
Si parlavano, però.
All’inizio solo per norma di buon vicinato, poi per semplice e puro piacere.
Echi di rimando, vibrazioni nel vento,
sfregolii di dilavamento, lamenti notturni, insospettabili richiami
chimici, cose così. Cose di cui noi umani non possiamo sapere.
Per molti, moltissimi anni si parlarono senza
vedersi, con intesa simbiotica .
Poi un giorno gli alberi, secolari testimoni di quell’amicizia, furono abbattuti per
lasciare spazio a una strada dove potessero transitare uomini e merci, e le due rocce finalmente poterono
guardarsi in faccia.
(Non cambiò granchè, perchè si piacevano già prima
di vedersi)
Iniziarono così a guardarsi e continuarono a piacersi e parlarsi come avevano fatto per
millenni; di diverso c’era solo che al tempo delle foreste le parole dette dall’uno scivolavano piano,
adagiandosi, dondolandosi e a volte nascondendosi tra le alte fronde degli alberi, per poi planare dall’altra
umide di rugiada, colorate d’autunno o profumate di polline; ora le stesse parole parevano diventate fragili,
rischiando ogni volta di essere rapite da un alito di vento o di finire sotto
le ruote dei carri, imbrattate di polvere . Tuttavia ciò non minò la consolidata amicizia delle due alture
rocciose.
Certo avrebbero desiderato toccarsi, abbracciarsi, ma dato che il destino le aveva
poste su lati opposti,
non restava loro che continuare a parlarsi e
vedersi senza incontrarsi, perché il
destino non lo si può sfidare, pena la morte.
Cosa sarà successo, allora? Cosa fece sì che entrambe
rinunciassero alla posizione eretta, e alla propria implacabile inflessibilità?
Come poterono raggiungere quella stramba posizione , in un delicato quasi
assurdo equilibrio che -a noi posteri motorizzati- offre un’idea di fragilità
e forza allo stesso tempo?
Forse un giorno il roccione, in un momento di pazzia, si protese verso l’amica dimenticandosi che una roccia non si può
muovere e infischiandosene delle leggi di gravità e dei problemi di baricentro.
La destinataria di tale azzardo intuì che in
pochi attimi l’altro si sarebbe schiantato al suolo, e senza starci troppo a
pensare si incurvò per catturarne, al volo, il primo e ultimo bacio, dimenticandosi
anch’essa che una roccia non si può
muovere, e infischiandosene anch’essa di gravità e baricentro.
Così quel primo e ultimo bacio è diventato eterno,
e noi ci passiamo sotto.
Mi sembra, visto da qui, un leone che bacia una monaca.
RispondiEliminaVorrei tanto seguirti in questa tua bellissima visione del passato remoto, sai che io di ciò mi nutro, ma in questo momento sono troppo pieno di amarezza per motivi che nemmeno voglio nominare.
Scritto benissimo, alla tua maniera.
Sono felice che sei tornata alla grande. Sono sempre felice quando gli amici sono felici, sempre.
almeno ti sei rimessa a scrivere, a scrivere "come Dio comanda"
RispondiEliminaBellissimo...
RispondiEliminaGrazie Wilmissima.
RispondiEliminaNon sono mai felice quando un amico è infelice, mai.
RispondiEliminaBeh, certo! Nemmeno io; ma intendevo felice dentro, nell'anima per poter scrivere un simile post.
RispondiElimina