domenica 25 settembre 2011

KISSING STONES

Ci sono passata sotto tante volte,  sulla strada che mi porta verso l’amata Engadina. Ogni volta ammirandole, ma mai fermandomi per fotografarle, anzi lasciandomi troppo in fretta l’ immagine  alle spalle come indegnamente si fa davanti a tante  cose belle visualizzate dal finestrino dell’auto in un attimo fuggente.   Stavolta invece mi sono fermata e le ho immortalate, per riguardarmele con calma.
Belle, eh? Due rocce che si baciano, si combaciano, si equilibrano, si sostengono .
Forse  c’è stato un tempo  in cui queste due rocce non erano unite.  

Me le immagino entrambe in posizione eretta,  una a sinistra e l’altra a destra,  fieramente e aspramente rivolte  verso l’alto, verso l’alto del cielo, come si confà a ogni roccia che si rispetti.  Il roccione di  destra più alto e imponente, la roccetta di sinistra più bassa, più umile  ma ugualmente orgogliosa.
Me le immagino per  millenni  vicine ma impossibilitate a  vedersi,  separate da una fitta foresta.
Si parlavano, però.
All’inizio solo per norma di buon vicinato,  poi per semplice e puro piacere.
Echi di rimando, vibrazioni nel  vento,  sfregolii di dilavamento, lamenti notturni, insospettabili richiami chimici, cose così. Cose di cui noi umani non possiamo sapere.
Per molti, moltissimi anni si parlarono senza vedersi,  con intesa simbiotica .
Poi un giorno gli alberi, secolari  testimoni di quell’amicizia, furono abbattuti per lasciare spazio a una strada dove potessero transitare uomini  e merci, e le due rocce finalmente poterono guardarsi in faccia.
(Non cambiò granchè, perchè si piacevano già prima di vedersi)
Iniziarono così a guardarsi e continuarono  a piacersi e parlarsi come avevano fatto per millenni; di diverso c’era solo che al tempo delle foreste  le  parole  dette dall’uno scivolavano piano, adagiandosi, dondolandosi e a volte nascondendosi tra le  alte fronde degli alberi, per poi planare dall’altra umide di rugiada, colorate d’autunno o profumate di polline;  ora le stesse parole parevano diventate fragili, rischiando ogni volta di essere rapite da un alito di vento o di finire sotto le ruote dei carri, imbrattate di polvere . Tuttavia ciò non minò la  consolidata amicizia delle due alture rocciose.
Certo avrebbero desiderato toccarsi,  abbracciarsi, ma dato che il destino le aveva poste su lati opposti,
non restava loro che continuare a parlarsi e vedersi  senza incontrarsi, perché il destino non lo si può sfidare, pena la morte.
Cosa sarà successo, allora? Cosa fece  sì che  entrambe rinunciassero alla posizione eretta, e alla propria implacabile inflessibilità? Come poterono raggiungere quella stramba posizione , in un delicato quasi assurdo equilibrio che -a noi posteri motorizzati- offre un’idea di  fragilità  e forza  allo stesso tempo?
Forse un giorno il roccione,  in un momento di  pazzia, si protese  verso l’amica  dimenticandosi che una roccia non si può muovere e infischiandosene delle leggi di gravità e dei problemi di baricentro. La destinataria di tale azzardo  intuì  che  in pochi attimi l’altro si sarebbe schiantato al suolo, e senza starci troppo a pensare   si incurvò per catturarne, al volo,  il primo e ultimo bacio, dimenticandosi anch’essa che una roccia non si  può muovere, e infischiandosene anch’essa di gravità e baricentro.
Così quel primo e ultimo bacio è diventato eterno, e noi ci passiamo sotto.

6 commenti:

  1. Mi sembra, visto da qui, un leone che bacia una monaca.
    Vorrei tanto seguirti in questa tua bellissima visione del passato remoto, sai che io di ciò mi nutro, ma in questo momento sono troppo pieno di amarezza per motivi che nemmeno voglio nominare.
    Scritto benissimo, alla tua maniera.
    Sono felice che sei tornata alla grande. Sono sempre felice quando gli amici sono felici, sempre.

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  2. almeno ti sei rimessa a scrivere, a scrivere "come Dio comanda"

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  3. Non sono mai felice quando un amico è infelice, mai.

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  4. Beh, certo! Nemmeno io; ma intendevo felice dentro, nell'anima per poter scrivere un simile post.

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