i cachi di lupo |
A dirlo sembra che sono nata nell'ottocento, eppure davvero mio nonno ci portava i cachi con il carro e il cavallo.
In effetti l'ho dovuto scrivere due volte per crederci pure io, e purtuttavia stento a crederci anche dopo averlo non solo scritto ma perfino riletto.
Tutti i bambini del villaggio accorrevano a vedere il cavallo del nonno, che però non era bello e aitante e lucido come il cavallo di zorro o del principe azzurro; era infatti basso e tarchiato, e se non ricordo male anche un po' sporco, con le mosche che gli ronzavano intorno.
Probabilmente i miei compagni di giochi ci saranno anche rimasti male per quel vecchio cavallo spelacchiato, ma di ciò non ho memoria.
Quel che ricordo nitidamente invece è l'enorme carico del carretto: ma quanti erano quei cachi, se a me sovvien l'immagine di UNA MONTAGNA di cachi?
Erano davvero una montagna quei cachi o ero io ad essere piccola?
Insomma questa montagna di frutti arancioni veniva sistemata su un tavolone dell'ingresso, un ampio e comodo locale che noi chiamavamo, con scarso senso di riconoscenza, ripostiglio.
I cachi non li spostavamo da lì, eravamo noi a spostarci quando volevamo mangiarne.
Sarà stata un'idea di mamma, ci scommetto. Avrà decretato che i cachi si sarebbero mangiati direttamente sulla fontanella, così non avremmo sporcato in giro. Chè la macchia di caco, si sa, non va più via.
La fontanella era un grande lavatoio di pietra color grigio scuro, che mamma usava per fare il bucato; sotto di essa c'era un vasino azzurro che avevamo usato da piccole per fare la pipì, ora riciclato come contenitore degli avanzi di cibo da portare nel pollaio.
Era bello mangiare i cachi in compagnia delle sorelle in ripostiglio, che non era un rispostiglio, appoggiate alla fontanellla che non era una fontanella; dovevi solo stare attenta a sporgere all'infuori il mento per non sgocciolare sui vestiti.
A quel punto il caco era pronto per affondarci la bocca, anzi la faccia intera.
Ci sbrodolavamo senza ritegno e lasciavamo cadere senza remore quel che non entrava in bocca. In pratica mangiavamo questi cachi in modo assai poco fine, quasi selvaggio.
Alla fine della scorpacciata rimanevano pezzetti di caco sui bordi della fontana, che scivolavano adagio, come lumache.
La chicca del post che hai scritto non è tanto, secondo me, l'atmosfera ottocentesca che emana, quanto la sua etichetta in basso: quel "silvia rimembri ancor" mi fa morire. E' umorismo inglese. E dei migliori.
RispondiEliminaahah grazie, ma è una vecchia etichetta.
EliminaMi piacciono un sacco i romanzi ambientati nel diciannovesimo secolo, e pure i film.
Sono una fan della Austen e adoro il libro (e il film) "orgoglio e pregiudizio", tanto per dire.
Ahah, raccontino delizioso!
RispondiEliminaGrazie.
PS
E' un frutto che può essere anche molto buono, ma la sua consistenza mucillaginosa NON mi ha mai attirato.
Ciao walker, non c'è di che!
EliminaHo un caco in giardino...sono finiti tutti a terra.
RispondiEliminaNon so davvero come utilizzarli (marmellata no, bocciata).
Che mi pare sempre uno spreco.
Oh signore, la frutta per terra non è uno spreco ma un peccato mortale!
EliminaPensa che mio marito ha raccolto, oltre ai cachi della nostra pianta, anche quelli di un vicino. Ne abbiamo riempito svariate cassette e regalate.
Regalare i frutti della terra è segno di amicizia ma anche una forma di rispetto e di ringraziamento per Madre Terra, che nulla ci chiede e tutto ci dà.
Che gran bel post Silvia, si respira aria di casa, e per te lo è stata assolutamente! Per noi da piccoli esisteva solo il famoso caco morbido che si mangiava col cucchiaino, e non c'era altra possibilità! Sopo pochi anni fa invece ho scoperto che si possono mangiare anche dei cachi che non sbrodolano, ma che sembrano delle mele a tagliarli. Buonissimi anche questi :-)
RispondiEliminaMai mangiati di questi cachi moderni.
EliminaGrazie, sai forse nei miei scritti si respira aria di casa per un semplice motivo: per me la casa -intesa come luogo degli affetti- è TUTTO!
Non potrei mai girare il mondo come te, sono casalinga inside.
E quando ne addentavi uno ancora non proprio maturo che allappava e sentivi le labbra come restringersi attorno alle gengive?
RispondiEliminaI cachi hanno questo unico, grande difetto.
EliminaPensa che una mia amica non mangia più cachi da quella volta che le hanno allappato la bocca. Esaggggerata!
Il verbo "allappare" l'ho scoperto da poco, qui si è soliti dire "che schifo, questo caco mi ha legato la bocca".
Ciao Angel care.
... boni i cachi!
RispondiElimina... li ho raccolti anch'io (meno di una montagna e non è servito il carretto)
... ora stanno maturando o meglio ... quelli maturi me li sono già pappati ...
Oggi ho chiesto a mamma: ti ricordi quando il nonno arrivava col carretto pieno di cachi?
Eliminabeh, non se lo ricorda!
mi toccherà chiederlo a mia sorella, mica me lo posso essere inventato!
Ciao cara Silvia, grazie infinite della visita al mio blog, mi piace tantissimo come scrivi e mi piace "leggerti" Da oggi hai una lettrice fissa in più, grazie, Cristina!
RispondiEliminaGrazie a te.
EliminaCi perdo le ore sui blog di cucina, mi piacciono tantissimo e tu sei bravissima.
a Sesto San Giovanni esistevano case con alberello?
RispondiEliminaPorcavacca, allora sei nato anche tu nell'ottocento, come me!
Che invidia il nonno con il cavallo!
RispondiEliminaIo ho una pianta di cachi che svetta davanti a casa e dove non arriviamo a cogliergli:splaf! Mi piacciono molto, poi non avento antagonisti, sono un frutto bio!
sì, avevo letto che i cachi non necessitano di trattamenti.
Eliminaavendone in abbondanza oltre a regalarli ho fatto una torta di cachi e qualche vasetto di marmellata, che però devo lasciare riposare qualche mese prima di assaggiare, perchè al momento dell'invasatura legava. Ciao!
Un tempo bisognava stare attenti perché quelli molli spesso contenevano vermi. Oggi non è più così, sono tutti puliti e posso dirlo perché è il frutto che in autunno mangio quasi esclusivamente, tanto ne vado matto. Un saluto e i complimenti più sinceri per quell'aria di sublime nostalgia che si respira nei tuoi post.
RispondiEliminaChissà quanti vermi ho ingerito da piccola, quando ne mangiavamo a gogò senza tanti preamboli.
EliminaGrazie dei complimenti, sei sempre gentile.
Ci si sente via mail.
Insomma anche tu avevi un nonno nato alla fine dell'ottocento o nei primi anni del novecento, come il mio.
RispondiEliminaSiamo vecchi entrambi.
Noi avevamo un pollaio e ognuna di noi sorelle aveva la "propria" gallina, che chiamavamo con i nomi dei cantanti dell'epoca. La mia gallina era rossa e tozza come me e si chiamava Caterina Caselli, quella di mia sorella era bianca e raffinata come lei e si chiamava Marisa Sannia.
Tanto per rimarcare che si sta parlando dell'ottocento o giù di lì.
Mio padre però non aveva il coraggio di ammazzare le galline, e così arrivava il nonno in bicicletta a fare da sicario.
Papà, ricordando i tempi delle galline nostrane, diceva: a voi davamo la polpa, e io e la mamma succhiavamo gli ossi.
Il canto delle galline... anche per me meraviglia di quando ero piccolo.
RispondiEliminaHo scoperto, in estate, che c'è una condominio, sotto, nella valle, dove in un giardinetto micro, sono tornate due galline.
Mi diverto da matti a sentirle borbottare (?) la mattina, quando passo, accanto, scendendo a piedi in stazione.