venerdì 6 aprile 2012

the lake looks like a table

A punto Emme punto, un bellissimo ragazzo di diciassette anni: alto e magro, gambe da gazzella, camminata con baricentro spostato in avanti, braccia troppo lunghe, occhi latitanti, che se li incroci fuggono come se i tuoi fossero doppietta e i suoi fossero lepre, labbra trascurate, zazzera scura e ribelle, pelle oliva con certificazione Doc di sana provenienza meridionale.
Tenero e fragile come un grissino.



Era già buio quella sera, era estate.
Dopo cena non aveva voluto telefonare a casa come gli altri, e al termine delle chiamate eravamo usciti tutti insieme.
Mi pare fossimo in un posto che si chiama Sighignola.Il lago di Lugano era giù in basso, col contorno punteggiato dalle luci delle strade. Era la prima volta che vedevo il lago italo svizzero dall'alto, non ero mai stata in quel bellissimo posto.
C'era silenzio, come ogni volta che la bellezza si impone.
Fino a quando lui parlò, e io mi commossi.
Lui, che viveva in un pianeta sconosciuto, rifugio e prigione insieme.
Lui che annegava nelle proprie paure.
Lui che parlava quasi unicamente per stereotipi, falsando la voce.
Lui che a volte chinava il capo su una spalla, con una mano accanto alla bocca a mo' di megafono faceva il suono delle campane -don, don, don - e con l'altra mano si chiudeva un orecchio.Lui che quando era agitato ti prendeva la testa tra le mani soffocando suoni gutturali nei tuoi capelli e poi te li stringeva nei pugni fino a farti male, e doveva intervenire qualcuno per liberarti dalla morsa.Quella sera se ne uscì con una frase eccezionalmente lucida, oltre che poetica.
Serio, concentrato, con una voce normale, non contraffatta, con un tono sereno che mai prima di allora gli avevo sentito, disse, semplicemente: il lago sembra una tavola.
Fu come se
per una sera il carceriere gli avesse concesso la libera uscita, la natura l'avesse accolto tra le sue braccia e lui l'avesse ringraziata così .
Avrei voluto abbracciarlo, non lo feci per non farmi storcigliare i capelli.
Mi resi conto che gli volevo un bene infinito e mi intristii al pensiero che lui non se ne facesse niente del mio affetto.
Sono passati trent'anni eppure quante volte mi sono chiesta dove sia, e come sta.

nella foto, il vento fa volare i fiori del ciliegio

5 commenti:

  1. Qualora avesse avuto la buona sorte di incontrare una donna disposta ad aiutarlo senza chiedere nulla -ma esistono così?- avrebbe potuto salvarsi dal perdersi nel buio della sua anima. Ma quel paragone ossessivo, "il lago sembra una tavola", mi fa temere che non gli sia andata così bene.
    Ogni tavola è piatta, solida; come una tavola è il lastrico visto da un balcone del quarto piano; come una tavola è il marmo che ricopre una tomba.
    Non me volere, ma mi hai strappato dal fondo della botte dei miei ricordi, il diafano volto di un compagno di scuola molto, molto triste, ogni giorno.
    Era innamorato di me, ma nessuno lo aveva scoperto. Me lo disse sua madre, che aveva letto il suo diario segreto: era un omosessuale che si vergognava come un cane della sua natura -erano gli anni 50-; vide come una tavola il selciato di Via Mazzini dal balcone di casa sua al quarto piano.

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  2. Quale donna?
    A.M. era un disabile con una diagnosi di psicosi, più che una donna spero abbia trovato un buon centro, una buona comunità, un posto dove oltre a curarlo -quale cura?- gli vogliano bene.
    Che triste storia, ti ho rimembrato! Come si chiamava quel cucciolo d'uomo che nascondeva la propria indole come uno psicotico nasconde il proprio sguardo?

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  3. Enrico M.
    Si chiamava così ed era efebico nella sua scomoda bellezza. Ci eravamo incontrati in prima media; poi perduti di vista per via di scelta di due scuole diverse. Ci siamo ritrovati al quarto ginnasio: lui era meno bravo di me, ma molto più sensibile su certe cose.
    Non ho mai capito la sua omosessualità, anche perché mai, MAI, mi ha sfiorato con un dito, se non in palestra quando facevamo educazione fisica, e li ci toccavamo tutti giocando.
    Ha retto tre anni, come stava scritto nel suo diario. Dal quinto ginnasio al secondo liceo; poi il vuoto che gli si stava spalancando dentro lo ha inghiottito.
    Si nascondeva a se stesso.
    Mi sono mille volte chiesto cosa sarebbe stato di me se avessi saputo, allora, che si era tolto la vita a causa mia.
    Ma l'ho saputo almeno 15 anni dopo. Ero maggiorenne, vaccinato, e padre di una bambina, nonché sposo di AM.
    Ci ho sofferto moltissimo.
    Vado sempre a sedermi sulla tavola di marmo bianco nel cimitero della mia città, ogni volta che torno.

    Perché non una donna? Non mi intendo di disabili, ma forse l'affetto, l'amore di una donna può salvare e4 risolvere qualche caso. Non credi?
    L'amore vero di una donna, che non sia tua madre ma un'estranea, apre strade infinite, penso io.

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  4. Tema complesso, quello del rapporto malattia mentale/innamoramento, sul quale non ho alcuna idea, alcuna certezza.
    L'unico utente psicotico che ho visto innamorato era Roberto; talmente innamorato di Lucia che un giorno mentre era sotto la mia tutela afferrò un suo rivale, lo scaraventò a terra e gli battè la testa sull'asfalto più volte.
    Solo che la testa del rivale era stata operata di tumore e non aveva certo bisogno di quel trauma.
    Freud diceva che l'innamoramento è una forma di psicosi, perchè in quella fase vivi in un mondo tutto tuo, non vedi niente altro che il tuo innamorato.
    Però il problema principale di una persona psicotica sta proprio nella difficoltà a relazionarsi col mondo esterno: in certi casi, quindi, è impossibile un innamoramento come lo intendiamo noi.

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  5. Confesso la mia ignoranza sul tema: credo che innamorarsi sia bellissimo per un "normale"; altrettanto dovrebbe essere per una persona psicotica, ma chi ci capisce veramente in quel che succede nell'animo di uno psicotico?
    Io so che queste persone sanno dare affetto ed hanno bisogno di affetto. Tanto dovrebbe bastare per classificarle "normali" come gli altri.
    E questo è lo iacopopensiero in materia.

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