giovedì 30 settembre 2010

un baule pieno di ricordi

Dovevo fare i soliti noiosissimi lavori di casa, quest'estate, ma la pigrizia ha prevalso sull'efficienza e così ho riordinato solo un locale, "la stanza in fondo" , un locale che potrebbe essere una terza camera da letto se non fosse diventata un "di tutto e di più": lavatrice, aspi
rapolvere, attrezzi per le pulizie, fontanella, scarpiera, pozzo di san patrizio congelante, dispensa, tavolo fai da te, un vecchio armadio, un appendino per l' abbigliamento da "walker", -così mio figlio chiama le guardie ecologiche- zaino, cappelli, due borse del calcio, una della piscina, una della protezione civile, una dell'anti-incendio; appese al muro, una stadera e una grata di ferro, sulla quale giacciono da anni oggetti ufo, tipo chiavi che non si sa cosa debbano aprire e inquietanti archetti da caccia che G. deve portare al museo del parco da decenni. Dentro e sopra un vecchio armadio a 4 ante bombate e specchiate c'è un delirio. Dai sacchi a pelo dell'esercito a vecchi vinile passando per una serie completa di videocassette allegate all'"unità" di decenni fa, comprate da un padre sprovvisto di videoregistratore con l'unico scopo di finanziare il suo quotidiano preferito.
Prima o poi dovremo dare un senso a questo delirio di onnipotenza degli oggetti!
E se mettessimo tutto su ebay? chiedo a Ginocchio, che naturalmente si rifiuta. Troppo sbattimento! -dice-
La cosa più intrigante di tutto questo baillame, l'unico oggetto di cui non mi sbarazzerei facilmente è un baulone verde pieno di ricordi. Quaderni di scuola miei, dei miei figli, di mio marito, e perfino delle mie sorelle e di mia mamma. Ci sono alcuni temi -miei o delle mie sorelle- la cui lettura mi provoca ondate di tenerezza. Li posterò, pur sapendo che certe emozioni non sono condivisibili.

mercoledì 29 settembre 2010

ah, l'ispirazione!

Cos'è l'ispirazione?

martedì 28 settembre 2010

trilogia di New York

Persone che scompaiono, investigatori veri o fittizi che cercano il missing o che spiano su commessa, o che credono di spiare ma in realtà sono spiati.

lunedì 27 settembre 2010

a muso duro



Nel 1979, in seguito allo scarso successo dell'ultimo album di
Pierangelo Bertoli, il direttore artistico della casa discografica mise in crisi il cantautore, che ricorda:
"Il tale mi chiama nel suo ufficio e mi spiega che il mio lessico è vecchio e tutto da rivedere: se parli di carote devi dire carote, se parli di carciofi devi dire carciofi. Io me ne vado a casa preoccupatissimo e passo diversi giorni di fortissimo disagio. Quando finalmente comincio a risollevarmi, mi capita di telefonare alla casa discografica, e malauguratamente risponde lui, che torna a ripetermi che il mio lessico è vecchio e devo cambiarlo. Di nuovo vado in crisi, ma all'improvviso durante la notte, nel mio letto, ho una reazione, mi alzo e scrivo 'A muso duro'. Pochi giorni dopo che ho fatto sentire la canzone ai miei discografici, il tale ha fatto le valigie. Sinceramente non credo che sia stato per causa mia, ma devo ammettere che un po' mi piace pensarlo…".

A muso duro fu molto amato dal suo pubblico, forse perchè dietro la volontà del cantautore di
rivendicare la dignità del proprio lavoro si intuiva la volontà di estendere questo orgoglio "a muso duro" verso il proprio corpo, del quale dice:
"Avevo un fisico 'stortignato' dalla metà in giù ma molto forte, e l'ho trattato malissimo. Ma ho cercato di vivere una vita normale. Mi è andata bene".
Nei primi '80 andai a un concerto di Bertoli. Vedendolo cantare seduto sulla sua carozzina, massiccio come spesso diventano i paraplegici, pensavo che non doveva essere facile dare libertà alla voce sentendo tutto il resto del corpo imprigionato
in una gabbia.
Ascoltammo le canzoni sotto il temporale, l'ultima delle quali fu proprio quella da lui scritta in una notte di orgoglio e ribellione, e la cantammo in piedi sotto una pioggia che veniva giù a muso duro.


SCRITTO IL 7 SETTEMBRE 2010

sabato 25 settembre 2010

ghe sarà de na a catà l'uga

Sappiamo tutti che in ogni famiglia ci sono dei tormentoni. Uno dei tanti tormentoni della famiglia di mio marito è la questione vino. Mio suocero lo autoproduce da una vita, con l' uva della sua vigna, ma il problema è che lui da anni non riesce più a starci dietro, a questa attività, e obbliga i figli ad aiutarlo. Essendo settembre, siamo in periodo a rischio di litigate per tormentone vino.
Mia suocera, assumendo il suo miglior piglio da capunera, in questo periodo dell'anno comincia a lanciare il sasso, proclamando a mo' di generale di corpo d'armata: "Ghe sarà de na a catà l'uga al cimiteri" (bisognerà andare a raccogliere l'uva al cimitero).
Non è che mio suocero abbia piantato le viti dentro il camposanto, semplicemente il campobacco è attiguo al camposanto, che un tempo era campobacco ma poi gli è stato espropriato per farlo diventare santo. E' chiaro, no?
Ghe sarà de na a catà l'uga al cimiteri è ... Bum! la frase storica che dà avvio alle ostilità, il colpo di cannone che segna l'avvio della guerra. Mio marito si scalda all'istante e dice che se va al cimitero è per tagliare raso terra tutte le viti. Se ha la luna particolarmente sversa sostituisce il verbo tagliare col verbo bruciare. Che in cantina ci sono ancora le damigiane dell'anno scorso, e dimmi un po' cosa se ne fa il papà di tutto quel vino se neanche potrebbe più berlo. Che quell'uva è di qualità pessima e il vino risulta imbevibile. Che è un vino talmente acido che di sicuro lo stomaco di chi lo beve - quello di suo papà- è ridotto a un gruviera.
Mio suocero non accetta che si parli in modo così spregiativo del suo vino e comincia a inveire a suon di "te capisèt negot! te se scemu!" (non capisci niente, sei scemo) cercando poi, a suon di inutili "pruel!" (provalo!) di convincere figli nuore e nipoti presenti ad assaggiarlo.
Mai nessuno che si sacrifichi. A me fa schifo anche solo la vista del bottiglione sul tavolo.
Mio cognato dice che lui ha già il suo, di campo, e non può stare a dietro anche al cimitero. Che quest'anno è l'ultimo anno che si fa quel cazzo di vino.
A queste annuali parole sua moglie gli salta letteralmente in testa, come una gallina starnazzante, proclamando a gran voce che ogni anno lui dice così e che poi ogni anno il vino lo fanno, e che lei è stufa di sentire ogni volta le solite menate.
L'altra mia cognata dice che se qualcuno si offre a stare a casa a curare la nonna ci va lei al cimitero ad aiutare suo papà. A questo punto tutti riscoprono il fascino della vita bucolica e l'attrazione per il male minore.
La nonna dice che quel vino non fa male a suo marito, e che l'ha detto anche quel tale dottore, cent'anni fa (quando la nonna vuole convincerci di qualcosa, ci piazza dentro un fantomatico dottore che noi non conosciamo ma che -chissà come mai- sostiene proprio la sua stessa tesi)
... e che... e che ... e che ....
E la mena talmente tanto che, alla fine di settembre, una benedetta mattina si fa questa benedetta vendemmia.
Per puro caso la sottoscritta l'ha sempre sfangata: quando lavoravo di sabato c'era tradizione di farla di sabato perchè erano tutti a casa dal lavoro, adesso che io non lavoro più di sabato la fanno in altri giorni. Ohhh, io non c'entro, odio il vino ma amo la vita bucolica, una vendemmia all'anno l'avrei anche fatta volentieri.
Trascorso il giorno della battagliata vendemmia, per settimane ogni volta che esco sul balcone sento l'odore dell'uva che fermenta nei tini.
Quest'anno la discussione si è già compiuta, come tradizione vuole, ogni battuta al posto giusto, ma per ora sul balcone c'è solo odore di fichi marci.

domenica 19 settembre 2010

la felicità non la trovi in un libro

Will Ferguson, Felicità
"La felicità non la trovi in un libro" potrebbe essere, paradossalmente, la sintesi estrema di questo libro, che fa venire l'acquolina in bocca sia per il titolo sia per quei cioccolatini in copertina.
La felicità non la trovi in un libro, nè in QUESTO nè in QUELL'ALTRO, contenuto in questo. QUESTO libro - carino, ma tirato troppo alla lunga- prende in giro L'ALTRO, cioè i manuali di auto-aiuto, e quindi la creduloneria degli americani, pronti a seguire ogni moda del momento, ogni santone che si affacci all’orizzonte, con la sua barba , la sua coreografia e le sue devianze consumistiche.
La cosa che più mi è piaciuta di questo libro non è tanto questo filo conduttore, quanto un corollario, un affascinante oggetto che la prefazione fa intendere esista veramente:
“THEY HAVE A WORD FOR IT” , di un certo Howard Rheingold: un dizionario di parole presenti in altre lingue ma assenti in quella inglese. “Interi sentimenti, interi concetti che restano inespressi per il semplice motivo che non è mai stata coniata una parola in grado di definirli”.
Allora è per questo che a volte non troviamo "le parole per dirlo!" (che è anche il titolo di un bellissimo libro)
Mancano davvero!
Purtroppo di queste parole, nelle 300 pagine del libro, l'autore ce ne regala solo 4:
MONO-NO-AWARÈ, “la tristezza delle cose”, un termine giapponese che definiva l’eterno pathos che fa capolino appena sotto la superficie della vita.
MOKITA, che nella lingua kiriwana della Nuova Guinea indica “la verità di cui nessuno parla”. (Si riferisce al tacito accordo tra le persone di evitare chiare allusioni a certi segreti ben noti, come il vizio di alzare il gomito della zia Louise o l’inconfessabile omosessualità dello zio Fred)
SCHADENFREUDE: il piacere che si trae assistendo alle disgrazie altrui: una parola tedesca (ovviamente)
FEIERABEND, “quel caratteristico umore festoso che invade le persone al termine di una giornata di lavoro, una specie di calda euforia rilassata

Non ho capito il senso di quell’ovviamente riferito al termine SCHADENFREUDE. Ovviamente in che senso? Nel senso che i tedeschi sono geneticamente predisposti al cinismo? (N.o. che vivi in cruccolandia, me lo spieghi?)
Un'altra cosa che mi chiedo è perchè, avendo a disposizione un vocabolario intero, l'autore abbia riportato una parola dal significato così brutto.


sabato 18 settembre 2010

va a cagà in di urtich 2

Sono le dieci di mattina e i miei suoceri fanno capolino sulla soglia dell'ingresso: la nonna in carrozzina, accompagnata da g., e il nonno sulle due gambone supportate da un terzo punto di appoggio, una racchetta da neve evidentemente inadatta allo scopo, in quanto la punta di ferro scivola sull'asfalto. (gli hanno comprato un così mai bel bastone, l'hanno pagato così mai caro ma lui si rifiuta di usarlo).

Già litigano e sbraitano. Non per la questione racchetta o bastone, su quella hanno già dato ieri.
Urlano perchè lui ha dimenticato di portare giù il SUO vino per il pranzo, lei ha dimenticato di farsi dare le SUE gocce dalla badante; anzi, preferisce che gliele dia il figlio.
Il nonno suggerisce di dargliene giù un boccettino intero. Il tempo di sedersi qui in cucina e l'ha già mandata a cagare "subèt".
Oggi non è giornata di
và a cagà in di urtich, bensì giornata di va a cagà subèt.

Dato che stamattina mi sento in odore si santità, spedisco un G. già in odore di palle fumanti a fare commissioni e mi sorbisco tutte le litanie
botta-risposta in edizione integrale, in sintesi: parla mia, me parli mia te se te che te parlet, tas giò, se to fa de ma, te set un castich, te capisèt piò negot, va se lè la manera de tratam (non parlare, io non parlo sei tu che parli, taci, cosa ti ho fatto di male, sei un castigo, non capisci più niente, guarda se è il modo di trattarmi) seguita da 5 minuti di tregua e poi da capo, e tutto il giorno così, ve lo confermo ora che la giornata è passata.

Guardo dalla finestra e per distrarli chiedo ad alta voce: abbaiano i cani, chi c'è in giro? In realtà non me ne frega niente, è solo un'esca. (conosco i miei pesci) Quando frequentavo questa casa in qualità di morosa mi colpiva il loro allarmato: "ce che rua?" (chi arriva?) ad ogni minimo rumore esterno, come fossero in stato di perenne allerta verso eventuali disturbatori della quiete familiare, come se questa casa si trovasse nel selvaggio west al tempo dei ladri di bestiame a cavallo.

Infatti mi chiedono
ce che rua.
"Due tipi con la valigetta, devono essere Testimoni di geova. Stanno risalendo la strada."

"Dech de nà a cagà" dice mio suocero.
Te pareva. C'è già una lunga fila, davanti al mio bagno.

" Allora facciamo così, Peder: se suonano al campanello va lei a rispondere, okay?"
La nonna si oppone al progetto, dice che
lè mia la manera de parlà (non è il modo di parlare) e che ognuno ha la sua fede.

E così ricominciano la litania
"parla mia tas giò" .

Sapete? Tra un paio d'ore compirò un'azione ignobile, pur di farli smettere: sfrutterò la malattia di Daphne, facendole dire che tutto quel casotto le rimbomba nell'orecchio operato. (Che poi non è nemmeno un'azione ignobile, quanto la santa verità).
Ma nemmeno questa tattica funzionerà: loro non ci sentono. E' ovvio, sono anziani. Sentono solo quello che vogliono!


... Suona il telefono. Mio suocero pensa che sia il campanello e mentre mi allontano per rispondere mi ricorda di mandarli a cagare.
Sollevo la cornetta e ridendo dico "pronto". Rido perchè vorrei specificare, per completezza d'informazione: ..... pronto per essere mandato a cagare?
"Cosa c'è da ridere?" chiede mia mamma
"Mio suocero ti ha appena mandata a cagare"

gioco fermo per mancanza di palle

D'estate c'erano le sere buone in cui, dopo aver cenato in tutta fretta per uscire a giocare, in strada trovavi i bambini giusti o bendisposti, e bastava il tempo di un'amen per fare le squadre, e poi passavi tutta la sera a tirare la palla o schivarla giocando a pallaviva, fino a quando non la si vedeva più, la palla, questo mitico oggetto del divertimento infantile, per il buio o perchè catapultata in un cortile di quelli intoccabili.
Poi c'erano le sere meno felici: quelle in cui uscivi e gli altri non avevano finito di cenare, o avevano la luna storta, o c'era tua sorella caporale che comandava tutti a bacchetta, o Paolo e Roberto se le stavano già dando di santa ragione (che botte, ragazzi!); le brutte sere in cui si litigava per fare le squadre, si perdeva tempo senza riuscire a divertirsi e quando la mamma ti chiamava rientravi in casa senza tanti rimpianti.
Non sto seguendo la politica, anzi la evito come peste, ma ieri mentre mi gustavo il mio nuovo amore letterario -Paul Auster- mi arrivavano gli echi del telegiornale: all'inizio dell'estate ho lasciato i politici mentre litigavano per formare le squadre, e li ritrovo alla fine della stagione ancora lì. A fare a bi bo tocca a me tocca a te conto io conti tu io l'ho fatto ieri vieni tu vengo anch'io no tu no perchè no.
Ho il sospetto che, al contario di noi quando eravamo piccoli e inconsapevoli, loro lo facciano apposta. Non vogliono giocare, tutto qui. Hanno paura di prendere una pallonata in faccia, di andare in riserva, di perdere. Per rimanere in tema del mitico oggetto del desiderio infantile, credo semplicemente che non abbiano le palle per governare. Eppure non gliel'ha ordinato il dottore, questo lavoro.
Tutti a casa, allora, il gioco è sospeso per mancanza di palle e la mamma vi chiama. Lavatevi mani, denti, non scordate LA BOCCA, fatevi l'esame di coscienza che ci insegnavano al catechismo, dite le preghiere, tante, fatevi un bel sonno e ripigliatevi.

giovedì 16 settembre 2010

va a cagà in di urtich

VA A CAGA' IN DI URTICH!
Mi piace provocare mio suocero perchè mi manda a cagare nelle ortiche. A volte esagera e specifica "ma quant i spungen!" (ma quando pungono!)
Daphne ogni tanto gli fa il verso: "... E come dice il nonno ... " e ripete il caloroso invito in un dialetto tutto suo.
Adesso che lo sto mettendo nero su bianco mi viene in mente che devo chiedergli se quel "quant" voglia dire che c'è un momento in cui le ortiche non pungono. Sicuramente mi risponderà una cagata, perchè non c'è più tanto con la testa.
Stasera, dopo cena, è particolarmente silenzioso.
Mia suocera -che in quanto a parlare fa la parte di tutti e due- impedisce l'ascolto del telegiornale con i suoi commenti a scopo auto-consolatorio:
"Lè vegnù vecc ancà lu! "(è invecchiato anche lui!)
-Per dovere di cronaca, nell'ordine: Mentana, Bossi, Berlusconi, del quale ha aggiunto che è diventato anche grasso perchè la giacca gli sta stretta, e perfino il Papa (una Devota come lei, che dice che il Santo Padre è VECCHIO e BRUTTO ... Che succede stasera? Cosa le ho dato da mangiare? Non avrò mica fatto casino con le pastiglie!)
Mentre aziono il bollitore per la camomilla della nonna gli chiedo se ne vuole anche lui
-ehh, cià un petèn-
Qualsiasi cosa gli offri da mangiare o da bere, prima fa una faccia come dire assolutamente no, perchè sa che se non si limita il respiro gli fa brutti scherzi, ma poi a mezza voce aggiunge:
-ehh, cià un petèn!-

- cosa cià, peder? è stanco?-
- se, sò strach de fa negot- (sì, sono stanco di far niente)
- è vero, non ha fatto niente tutto il giorno, è proprio diventato un lavativo!-

Mi aspetto un va a cagà in di urtich quant i spungèn, ma niente, Peder non raccoglie. Dopo il peten di camomilla con più zucchero che bevanda solleva dalla sedia il suo corpaccione con una fatica improba, e se ne va a casa trascinando due gambone che ne hanno viste di tutti i colori, così come il suo fisico bestiale. Perchè bestiale? Perchè leggenda narra che quando costruirono questa casa lui aiutava i muratori trasportando due sacchi di cemento da 50 chili, uno per ogni spalla.

Povero Pietro. Non ha fatto altro che lavorare come un mulo tutta la vita, e adesso che non riesce più a far niente non fa che dire:
-la sà dumà ul signur so mai fà de ma per regundes insce!- (lo sa solo il Signore cosa ho mai fatto di male per ridurmi in questo stato)
Passa il tempo a litigare con la moglie, cercare inutilmente di collegare i nomi alle persone, il cervello ai pensieri, i pensieri alle parole, mangiare un peten di questo e di quello e mandare tutti a cagare nelle ortiche.

domenica 12 settembre 2010

Top five books

Quando riapre la biblioteca devo riportare la pigna, ma prima voglio lasciare un piccolo commento per ogni libro.
Anzi, prendendo spunto da Hornby, voglio stilare una mia personalissima classifica. I 5 libri che mi sono piaciuti di più:

Paul Auster, INVISIBILE ovvero: INCREDIBILE
Invisibile, come I di Intrigante, di Inevitabile, di Impetuoso, di Immorale, di bellissimo.
E' la storia di un segreto di cui il protagonista ha voluto liberarsi prima di morire, la ricerca di una verità che diventa invisibile anche al lettore.
Da rileggere, perchè letto voracemente. (nel frattempo mi impossesso di tutti i libri di quest'autore. Mi sono innamorata del suo stile)

Benedetta Cibrario, ROSSO VERMIGLIO. ovvero: MI PORTI IL CONTO, PER FAVORE
Una contessa ottantenne organizza un pranzo in cui rincontrare le persone importanti della sua vita, ma i conti non tornano.

Anita Nair, L'ARTE DI DIMENTICARE, ovvero: IL TITOLO NON L'HO CAPITO, ma la storia merita.

Un uomo tormentato dai sensi di colpa verso la figlia incontra una donna resa fragile dall'abbandono del marito, ma più che la storia del loro incontro, il libro è la storia di un amore paterno: scelta originale, visto di solito questa parte la fanno fare alle donne.
Ciò che mi ha maggiormente affascinata di questo libro sono le pagine "fuori trama" nelle quali l'autore individua un parallelo tra le dinamiche che sottendono agli eventi della nostra vita e le leggi che provocano eventi naturali devastanti.
Forse anzi sicuramente dovrei spostarlo al secondo posto, ma se comincio con i taglia e incolla finisce male.

Ugo Riccarelli, STRAMONIO, ovvero: QUESTO SI' CHE E' UN BEL TITOLO

Lo stramonio è una pianta medicinale che può essere letale, e stramonio è il soprannome dato all'io narrante.
I due protagonisti mi ricordano i versi di Guccini : "un vecchio e un bambino si preser per mano e andarono insieme incontro alla sera"; un vecchio che non è ancora vecchio e un ragazzo col fisico e l'innocenza di un bambino lavorano nell'immondizia, non solo degli oggetti ma anche delle persone, eppure riescono a conservare il candore più importante, quello dell'anima

Nick Hornby, Alta fedeltà, ovvero UNO SPASSO, NIENTE DI PIU'.

L'avevo già letto. L'ho un pò ridimensionato. Il titolo è azzeccatissimo: il protagonista ha un'unica passione, la musica, nella quale cerca l'alta fedeltà, senza però riuscire a darla lui per primo a Laura, che lo molla. Divertente la storia delle TOP FIVE, classifiche che il protagonista e i suoi assurdi amici si divertono a stilare; esilaranti le scene di sesso, uno sketch che mi era rimasto in memoria senza ricordarmi dove l'avessi letto, come spesso succede coi libri.
tutto il resto -trama, personaggi- non mi paiono degni di nota.


Poi seguono :

Ugo Riccarelli, IL DOLORE PERFETTO
, ovvero IL TITOLO NON MI CONVINCE
(come può un dolore essere perfetto?)

I destini di due famiglie si incontrano, mischiando e anzi sommando il carico di dolore che ognuna di esse si porta, dolore predestinato. I personaggi -non comuni- sono molto ben delineati, la storia del secolo scorso entra con violenza nelle storie individuali, ma a momenti pare che tutto questo dolore sia troppo, anche per il lettore.
La trame che diventano irreali e sfiorano la magia non riesco proprio a digerirle. A parte il mio gusto personale, credo proprio che valga la pena leggerlo.

Anna Gavalda INSIEME, E BASTA
Anna Gavalda, IO L'AMAVO
Piacevoli da leggere entrambi. Il primo è una storia originale con personaggi simpatici e strani, il secondo... carino anch'esso.

Muriel Barbery, l’eleganza del riccio (post a parte, scritto durante il soggiorno in montagna)

Richard Yates, REVOLUTIONARY ROAD Se la trama non ti appassiona, se i personaggi sono terribili, se questi personaggi e la loro storia sembrano a ogni pagina morire piano piano di asfissia sotto una cappa di falsità, e se nonostante questo arrivi alla fine senza accorgertene, vuol dire che è scritto da uno che sa scrivere.

Tiziano Scarpa, STABAT MATER
BELLO ma ANGOSCIANTE, almeno per la prima parte.

William Trevor, L'AMORE, UN ESTATE
carino, ma trama banale, sicuramente entrerà nel dimenticatorio dei libri, tra poco.

Maurizio Maggiani, MECCANICA CELESTE
BOH! non sono riuscita ad andare oltre le prime30 pagine, ma non ricordo il perchè.

scritto il 22 agosto 2010

sabato 11 settembre 2010

Quel vento di scirocco

soffiasse davvero quel vento di scirocco
e arrivasse ogni giorno per spingerci a guardare
dietro alla faccia abusata delle cose,
nei labirinti oscuri della case,
dietro allo specchio segreto d' ogni viso,
dentro di noi...
Francesco Guccini, Scirocco, 1978
Soffiasse davvero quel vento di scirocco
E spazzasse via i pensieri inutili (e molesti)
I gesti inutili (e inflazionati)
Le parole inutili (e blasfeme)
I rimpianti inutili ( e colpevoli)
Le paure inutili (e inconsapevoli)
I sentimenti inutili (e sconosciuti)
Gli oggetti inutili ( e sono troppi)

Soffiasse davvero quel vento di scirocco

sull'inganno dell'inutilità scambiata per bisogno
sull'effimero del bisogno subito soddisfatto
sull' apparente soddisfazione delle apparenze
e sul nulla che nasconde il tutto ( e la verità)

ma quanto parla

Quando un tuo familiare deve essere operato della stessa cosa del vicino di letto, dallo stesso chirurgo e nella stessa mattina, si crea subito una certa confidenza con il parente che lo assiste.
La coppia sicula è arrivata ieri con l'aereo: è la moglie a dover essere operata. Prima di approdare in questo ospedale hanno speso mille euro di consulti specialistici nella loro regione. Il primo chirurgo interpellato -un esimio professore universitario- aveva concluso che non valeva la pena di intervenire, con tutte quelle belle protesi nuove di zecca in circolazione!
Un altro luminare l'ha visitata tre volte per poi consigliarle di farsi operare in Spagna, da un compare, alla modica cifra di settemila euro. E poi e poi e poi .... il volo in terra leghista.
E' ammesso solo un parente per ogni operando: in camera rimane g. e io aspetto in sala d'attesa.
Alle 10, il siculo viene a chiamarmi: "Guardi che la stanno portando via"
Dafne esce dalla camera: è buffissima, con quel camice a farfalline e la testa bardata che sembra un ferito di guerra. Il bianco della fasciatura fa risaltare l'abbronzatura ancora fresca. Sorridendo di paura si stende sul letto a rotelle che la condurrà in sala operatoria. Questo è il momento più critico, ma dopo un attimo di sbandamento recupero il sangue freddo e cerco di farla ridere, prendendola in giro per come l'ha acconciata l'infermiere, che nel frattempo ha ricevuto un contro-ordine e le dice che dovrà aspettare ancora un po' qui nel corridoio. Nel frattempo la terapia del sorriso comincia a dare i suoi frutti: Dafne ride ... ma quale ridere, si sganascia in modo talmente rumoroso e fuori luogo che io penso di avere esagerato con l'opera di sdrammatizzazione, g. ipotizza che l'infermiere le abbia dato un eccitante invece che un calmante, il siculo chiede se ne è avanzata un pò, di quella roba, che se ne farebbe un goccetto. Siamo lì in tre, nel corridoio, che ci guardiamo quasi imbarazzati. Credo non sia altro che una crisi isterica. Poi finalmente arriva l'ok e parte.
Quando torna, dopo un paio d'ore, sta piangendo. Dice che sta malissimo, ma fa segno che non vuole parlare. Sono preoccupata: se Dafne non parla vuol dire che sta davvero male. Perchè lei è nata parlando. Più o meno. Voglio dire che il suo linguaggio è stato precoce, sia per qualità che per quantità. (Ho appena scoperto, scartabellando una vecchia agenda, che a due anni e qualche mese usava il congiuntivo)
Si appisola e per un paio d'ore alterna momenti di sonno a momenti in cui apre gli occhi ... e poi la bocca ... sì, la bocca, ma appena appena, a fessura, lasciando uscire solo tre paroline di insulto verso il chirurgo.
Poi vomita, finalmente vomita tutto: oltre all'anestesia vomita l'ansia degli ultimi mesi, la paura delle ultime settimane, lo stress emotivo della mattinata.
Finito di vomitare, dice che sta meglio. Comincia a parlare. Tiro un sospiro di sollievo. Se parla, vuol dire che sta davvero meglio.
Quando ci sbattono fuori per il giro-dottori, il siculo commenta: ma quanto parla, sua figlia?

lunedì 6 settembre 2010

una nocciolina nel sacco

"Cà è propriu beddu..
chi cavudu!
chi sule!
chi mare!
Quandu ne vieni a trovari?
Mò, quannu mindevenniu, preparati nu' liettu per n'amicu miu calabrisse"
La cartolina è arrivata insieme a lei, magari con lo stesso treno. "Potevi metterla in valigia, risparmiavi i soldi del francobollo"
Dafne torna dopo un mese di vacanza, trascorsa in tre posti marini diversi con tre compagnie diverse.
Torna bellaggioia, bella abbronzata, bella riposata, straripante di racconti imperniati su ...ragazzi , e cosa altro sennò?
Pensate che quando al telefono le ho chiesto se era sullo Ionio o sul Tirreno, non me l'ha saputo dire. Io glielo dico sempre, vai in giro come una nocciolina nel sacco.
Ci ha portato:
- due pacchetti di 'MPARRETTATI
- un vasetto di 'NDUJA (sugo per condire gli 'mparrettati, credo)
- un sacchetto di spezie per spaghettata
- una bibita che lei definisce "tipica" (come fa a essere tipica una bevanda al caffè dal nome molto poco calabrese "brasilena"? ).
E già che parliamo di liste della spesa, passiamo a quella dei ragazzi:
- romani simpaticissimi ma tornati subito a Roma
- calabresi simpatici ben pochi, solo due, un papà e un figlio che si sono innamorati di lei
(- eeehhhh? e come fai a dirlo? - -si capiva, gestivano il bar della spiaggia e non mi facevano mai pagare la brioches al cioccolato-)
- un carabbbbiniere fighissimo che ci ha provato ma lei nisba perchè si capiva lontano un miglio che ne aveva altre mille, tutte in fila una dietro l'altra, a sbavare
-un tipo dai bellissimi occhi che ha conosciuto nel viaggio notturno di ritorno e cacchio non ha il numero di cell perchè aveva il telefono nella cuccetta, e non sa decidersi se era più bello lui o il fratello ... che dubbio amletico ...
(La lista della spesa-tipi non è finita, ma la mia memorizzazione sì)
Poi ridendo racconta che quando qualche ragazzo le parlava a bassa voce (avete presente, quella voce suadente-seducente-acchiappafarfalle) lei non ci sentiva, e allora le chiedevano: ma sei sorda? e lei rispondeva: sì, mi devono operare appena torno- insomma, quei poveretti "se la prendevano" davvero male!
Poi Donna Abbronzata finalmente svuotata di parole si mette al picì (un mese di astinenza da feisbuk non è paglia) e dopo un pò la sento lamentarsi per il fatto che sua mamma non ha scritto nessun post su di lei.
"E cosa dovevo scrivere, se manco c'eri?-
"Che ti mancavo!"
"Sì, mi mancava il tuo disordine. Guarda che casino che stai lasciando in giro!"

sabato 4 settembre 2010

alla fine era quasi sera

Alla fine, ed era quasi sera, i polpastrelli erano rigati come quando uscivi dalla vasca da bagno, e se ti annusavi le mani dopo averle lavate sentivi ancora l’odore che aveva caratterizzato la giornata: odore di pomodoro, pomodoro maturo, pomodoro maturo maturato sulla pianta, pomodoro maturo maturato sulla pianta e raccolto al momento giusto.
I pomodori erano coltivati da papà, ma il giorno fatidico dei “pelati” era programmato con cura da mamma.
La giornata iniziava con la spedizione in farmacia di L. e me, per acquistare le bustine di acido salicilico.
Sì lo so che questo incipit chimico avvelena la genuinità del ricordo, ma questa non è poesia, è semplicemente cronaca veritiera di come in casa mia preparavamo la riserva di “pelati” per tutto l’anno.
Le cassette di pomodori - perini e cuore di bue- erano impilate in cortile, orgogliosamente colme di quei frutti rossi, maturi, profumati, invitanti, sani.

Le bottiglie di olio Bertolli ben lavate e lasciate scolare a testa in giù aspettavano impazienti di essere riempite, per vivere una seconda vita.
Lavavamo i pomodori in un mastello, tenendo l’acqua per l’orto, perché guai sprecare acqua, poi li tagliavamo a pezzi e li infilavamo nella bottiglia, aiutandoci con un imbuto e un cucchiaio di legno.

Imbottigliavamo su un tavolo di cemento costruito da papà, come costruite da papà erano tutte le cose che abbellivano il cortile: vasi di fiori, cordoli e perfino statuette di calciatori dalla maglia rigorosamente bianconera, davnti ai quali lavoravamo di lena.
Ricordo il piacere della polpa morbida e arrendevole che si disfaceva nelle mie mani, emanando un profumo talmente invitante da indurmi a riempirmene la bocca. Quando la bottiglia era piena, papà ci metteva un pizzico di polvere bianca e chiudeva.
Le bottiglie venivano poi disposte ordinatamente nel sottoscala, e duravano tutto l’anno.
Quando mamma faceva il sugo, chiedeva a una di noi di andare a prenderle una bottiglia di pelati, e nell’istante in cui la versava nel soffritto usciva un profumo ancora più buono di quando li avevamo imbottigliati, un profumo che riportava ai giorni lunghi e attivi dell’estate anche nelle sere corte e sonnacchiose dell’ inverno.

scritto il 22 luglio 2010

venerdì 3 settembre 2010

il timore del dopo, ovvero dei colloqui notturni

(Che magone ... è sufficiente una settimana di ripresa lavorativa per far sembrare le ferie appena trascorse un vago ricordo del lontano passato)
STRANE ABITUDINI
Quando invecchi prendi le abitudini dei tuoi genitori. 
Me ne sono accorta stanotte, quando sono andata a fare pipì a luci spente e occhi chiusi. Mi sono ricordata di papà: a volte entravi in bagno, di notte, e te lo trovavi seduto sul water che dormiva.
No, che dico, il water non dormiva, era il padre tuo che trovavi seduto a dormire sul water.
Ce ne è voluta, per convincere il tuo corpo ad alzarsi, ma alla fine ce l'hai fatta. Non è la pigrizia che ti contrasta, ma il timore del dopo: non si sa mai cosa viene, dopo la tappa fisiologica. Una delle cose peggiori che ti possono succedere, ad esempio, è di non riuscire più a ritornare tra le braccia di Orfeo. Ma quale Orfeo? Se Orfeo non è mio marito, allora quello era Morfeo, come giustamente mi corregge un gentile commentatore.
E la strategia per tornare ad abbracciare MORFEO è appunto continuare a dormire mentre vai e vieni dal bagno.

.........................
"Che ore sono?"
"Non lo so, spero sia presto perchè non riesco a tenere aperti gli occhi... beep... le quattro e tredici..."
"Non ti ho neanche sentita venire a letto. Che ore erano?"
"Presto , le undici"
.......
"Non è che devi andare a fare pipì?"
"No, perchè?"
"Perchè così guarderesti se è arrivata Donna abbronzata. Non l'ho sentita rientrare"
"E perchè non hai guardato tu?"
"Perchè mi è venuto in mente adesso"
"Tornando dal bagno hai visto una strana lucina rossa lampeggiante? Vorrebbe dire che è rientrata, ha messo l'allarme ed è andata a letto"
"Non ho visto niente" (e come avrei potuto?)
"..."
"Però è strano, che abbia sentito andare a letto ginocchio e non lei"
"Ma sì che è rientrata. L'ho sentita io. E' a letto. DORMI!"
.....
Mi ritiro nel mio cantuccino. Non spiaccico parola. Non mi muovo. Passano dieci secondi..
"OK, ho capito. Vado a fare pipì."

mercoledì 1 settembre 2010

la mia preziosa pentola AMC

La terra è generosa: mentre tu te ne vai in vacanza, lei continua a lavorare per te. Ma quando torni, è ovvio che la devi ricambiare raddrizzando le piante di pomodori che i temporali hanno atterrato, la devi ringraziare dandole attenzione, le devi fare onore condividendone i frutti con parenti e amici.
 Raccogliere le zucchine fuori misura, toglierne i semi e tagliare la polpa a dadini per il minestrone dell'inverno; dividere in ancora commestibili o marci i frutti caduti dalle piante, riempire il cestino di susine e mele, farle a pezzetti e metterle nel pentolone, aggiungere lo zucchero; buttare alle galline o nel mucchio del compost gli scarti delle lavorazioni; mescolare la marmellata, il cui profumo esce di soppiatto dalla cucina per infilarsi in tutti i locali della casa; lavare i vasi di vetro che, da lassù, attendevano pazienti di essere finalmente di nuovo riempiti; mescolare e ancora mescolare, ... poi pensi che mescolerà Qualcun Altro e vai un
attimo in camera a leggere, solo un attimo. Giri le pagine, giri le pagine, meccanicamente come quando rimescoli, gustando l'aroma della storia di Anita Nair, fino a che un altro aroma si sovrappone: odore di caramello! E quel Qualcun Altro dice che se inizi un lavoro lo devi finire, e poi mica gliel'avevo detto che avevo alzato la fiamma, e ... però è buono, l'odore del caramello, e la marmellata non è neanche bruciata, può continuare la sua cottura, basta abbassare la fiamma! Poi quando è pronta la metti nei vasetti, ed è il momento più bello, li chiudi, li metti nel pentolone a sterilizzare, mangiucchi quel pò di caramello rimasto nella pentola, .... LA PENTOLA! Il fondo, il prezioso doppio fondo delLA MIA PREZIOSA PENTOLA AMC, regalo di matrimonio della prozia di G., coperto da uno stato di carbone, è lì che mi guarda: un vero disastro.
L'operazione sfregamento di paglietta non gli fa neanche solletico, a quel carbone. La metterò a bagno per tutta la notte, nel frattempo studierò una strategia.
"Mi sa che dovrò usare lo scalpello" preannuncia G.
LO SCALPELLO? Vuole scalpellare la mia preziosa pentola AMC, regalo di matrimonio della prozia? Dovrà prima passare sul mio cadavere!

scritto il 20 agosto 2010