domenica 28 febbraio 2010

ma allora tutte le cose si muovono!


Ma allora tutte le cose si muovono! scopre Gigi faccia rotonda di "Adesso sto pensando"... Si, Gigetto, le cose si muovono, specie se sono sferiche, tranne nei casi in cui viene loro modificata la morfologia originaria. Ma andiamo per ordine.

Raffaele si chiede, su un forum, come sia possibile che la dichiarazione del berlucchi "Alcuni magistrati sono talebani.." possa passare inosservata. Riccardo risponde: “Mi pare una dichiarazione, come si dice adesso, impropria. I talebani è gente che, all'occorrenza, si fa saltare in aria” A questo punto interviene Fuma, che prima di dire la sua, corregge il refuso di Riccardo (non ce la fa proprio, a non farlo) I talebani è gente che, all'occorrenza, si fa saltare in aria". A parte il verbo essere, che va al plurale, (senza offesa, eh, Riccardo, mettici uno smile, che io non so come si fa) hai ragione. Certe dichiarazioni non fanno saltare sulla sedia più nessuno perchè ci abbiamo fatto il callo: ne dice talmente tante, il berlucchi, di stronzate, che se ogni volta dovessimo saltare sulla sedia, voi uomini avreste le palle quadrate, noi donne il culo piatto... E come fanno a girare le palle, se da sferiche sono diventate tipo cubo di rubik? Eccoti la risoluzione del dilemma, Raffaele, la classica quadratura del cerchio, anzi, delle palle, appunto. Con la quadratura delle palle e l'appiattimento del culo, riusciremo a usare il polso come si deve, la prossima volta che ci troveremo nell’intimità di una cabina ma non per cambiarci il costume? TEMO DI NO. In formicolandia la battaglia è già persa in partenza. Ci sarà un'epidemia di palle quadrate, culo piatto, polso slogato e mani in alto. Il Formichiere raggiungerà l'apice della sua potenza col ventennio lombardo, e per altri 5 anni continuerà ad insinuare la sua appiccicosissima lingua piena di ciellini dappertutto.


sabato 27 febbraio 2010

Abbracciami


Nel linguaggio del desiderio l' abbraccio è più forte del bacio
Se fino a oggi avete pensato che il primo veicolo della voglia d' amore, di calda intimità, di sesso, insomma di fare coppia per un momento o per sempre, sia il bacio sulla bocca, vi siete sbagliati. Il messaggio più forte, il modo più intenso per dire alla partner o al partner «prendimi», «sceglimi» o «resta, non lasciarmi, non dimenticarmi», non è il bacio ma l' abbraccio. Non è comoda teoria sul discorso amoroso, è una ricerca scientifica che uno psicologo americano, David Schnarch, ha spiegato in uno studio, La psicologia della passione sessuale. È appena uscito qui in Germania, e Welt am Sonntag gli ha dedicato un' intera pagina.
«Il linguaggio e le potenzialità comunicative dell' abbraccio sono sorprendentemente molteplici e ricche», scrive l' americano nel suo libro. Certo, il bacio intimo in pubblico fa scandalo o notizia, dalle istantanee dei baci tra vip diffuse dai paparazzi in tutto il mondo fino ai casi di baci saffici tra giovani grandi attrici. Ma non basta a preservare al bacio il ruolo di comunicazione più efficace della voglia di calore, affetto, amore e possessione. «Nell' abbraccio, ancor più che nell' amplesso», sostiene lo psicologo americano, una coppia riesce a sentire quanto contano vicinanza interiore e distanza: «Il sesso è istinto, l' abbraccio è erotismo», nel senso più caldo, tenero e profondo. L' abbraccio, molto più di un bacio o dell' avventura di una notte, ci consente di liberare ed esprimere emozioni nascoste.
Abbraccio batte bacio, insomma.
«L' essenza e il segreto dell' abbraccio è che ti fa sentire il corpo dell' altro, ti fa capire se stai bene con l' altro vicino o no». Lezioni utili, forse. Incontrandoci all' improvviso in strada, o la sera all' appuntamento, proviamo a sentire prima di tutto la voglia di abbracciarci, dimentichiamo il resto. Chi sa, se riesce la comunicazione con l' abbraccio, anche i baci e il sesso saranno migliori, ci piaceranno di più e ci faranno sentire più vicini e felici. - ANDREA TARQUINI

il link dell'articolo completo

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/02/15/nel-linguaggio-del-desiderio-abbraccio-piu.html

Solitamente snobbo le "ultime ricerche", questa volta invece concordo in tutto. Senza farci sopra alcun ragionamento, ho istintivamente sempre preferito questa espressione di affettuosità al classico bacio.
Ricordiamoci di abbracciare, oltre alla persona amata, anche l'amica, l'amico, la sorella, il papà, la mamma, i figli, una persona triste, la vecchia zia malata che da piccoli non volevamo mai baciare. E' un messaggio di tenerezza e vicinanza che non può essere sostituito da nessuna parola. Abbracciare per credere che, come dice la canzone due rette parallele possano incontrarsi, o per illudersi che ciò sia possibile? Sia come sia, un abbraccio a tutti!

venerdì 26 febbraio 2010

Piove (nero) sul bagnato (morto)

Mi presento: mi chiamo Lambro, ma non so cosa sono. Una volta ero un fiume, ma è passato tanto di quel tempo che nemmeno ricordo cosa voglia dire accogliere tra le proprie acque storioni, alborelle, anguille. A Piano Rancio, nel triangolo lariano, ci sono le mie sorgenti , con un cartello, “Qui nasce il Lambro”. Interessante, manca però l’epitaffio, da qualche parte, con data sconosciuta: perché sono morto, da decenni. Forse sono uno zombie di fiume, un morto vivente. Oppure chiamatemi cloaca, è più dignitoso. Ricordo che il ministro Ruffolo, nel lontano 1975, quando ero già in agonia, mi promise che sarebbe venuto, due anni dopo, a mangiare le trote pescate nelle mie acque. Dopo quella promessa, è successo di tutto: hanno buttato nelle mie acque miliardi, hanno appaltato e tangentato, hanno pagato milioni di euro di multe per violazione delle norme europee. Ma sono rimasto uno dei fiumi più inquinati d’Italia. Mentre i miei colleghi tedeschi e francesi venivano risanati, a me che vivo in Italia è stata applicata la terapia leopardiana, giustamente: d’ogni dolor morte risana.
C’è più salmonella nelle mie acque che in una maionese lasciata al sole per tutta l’estate.
L’ultima promessa di un assessore milanese assicurava che entro i primi mesi del 2010 si sarebbe proceduto alle gare d’appalto per ripulire il mio fondale, carico di piombo.
Dopo la fregatura di Ruffolo, non ci ho creduto nemmeno per un istante.
E ora, eccomi qui, pieno di petrolio, costretto a trascinarlo in mare. Un morto che cammina, costretto a diventare il killer di un moribondo.
La cosa più assurda sapete quale è? Che Milano, la città dalla quale transito, in occasione dell’expo 2015 si è candidata a diventare la “capitale mondiale di depurazione dell’acqua”. Questa è più grossa delle bugie di Ruffolo e delle promesse di Buscemi.
Potrei ridere, se solo riuscissi a respirare.

giovedì 25 febbraio 2010

concorso: vinci un seggio



Partecipo al concorso lanciato dal blog di Alfio Sironi: “Scopri qualcosa che non va e che non è colpa della sinistra italiana” .
http://alfiosironi.wordpress.com/2010/02/16/scopri-qualcosa-che-non-va-che-non-e-colpa-della-sinistra/#comment-859"
Ai vincitori un seggio sicuro. Forza, ragazzi, fatevi sotto, sappiamo tutti che è difficile, provateci! Rendete questo concorso un tormentone nazionale!
Qualcuno ha già ipotizzato: le penne lisce che non raccolgono il sugo e la peronospora della vite. Dite la vostra."

La mia:
Basta alzarsi col piede sinistro, e la giornata è già belle che andata afc.
trovi del rossetto rosso sul collo della camicia del marito,
sei in ritardo e ti becchi il semaforo rosso,

arrivi al lavoro rossa trafelata e timbri rosso,

a pranzo il sugo di pomodoro macchia la tovaglia appena stirata,

nella posta ti trovi un estratto conto vergognosamente rosso,

vai alla roulette dietro casa,
punti i risparmi della nonna sul rosso ma esce nero,

torni a casa,
riempi la faccia di sberle al marito fino a farla diventare rosso fuoco,
ti sembra così di aver regolato i conti, ma a pensarci bene sei ancora in rosso,
allora fai la doccia,

ti metti l’intimo nero

il giorno dopo ti costringi a scendere dal letto col piede destro

.. e cominci a valutare l'ipotesi di votare Fini, alla prossima,
alla promessa che varerà una legge per abolire giornate così sfigate, rosse e sfigate.

Solo dopo aver postato, rileggendo mi sono accorta che c'era una negazione. Questa è l'ulteriore prova del masochismo insito nei sinistri: ci piace farci del male, darci la zappa sui piedi anche quando ci danno il permesso di zappare i piedi degli altri. Che danno, che siamo.

martedì 23 febbraio 2010

fanno e disfano


Morale della favola: fanno quel cacchio che vogliono. Fanno le leggi e le disfano.
Fanno le leggi e le rispettano solo se torna comodo. Mi chiedo perchè dobbiamo pagarli fior di quattrini per fare leggi inapplicate. Potevano scopare la via del grattacielo Pirelli, invece che sedersi a legiferare, sarebbe stato più produttivo. L'arroganza della politica.
Vi ricordate quando si giocava in strada, da bambini, e il leader, dopo aver scelto i componenti della squadra, cambiava le regole del gioco, se no lui non giocava più?
E che dire delle news di questi giorni? Mi hanno indotto a modificare la mia preghiera mattutina: signore non darci oggi il nostro scandalo quotidiano. Poi, mentre faccio colazione e ascolto il tg, assumo un antiemetico. Scandali a dismisura, nonostante le mie preghiere, e il governo che rassicura: no, non è tangentopoli. Cos'è, allora, merdopoli?
Mazzette a gogò, e il Berlu li chiama birichini, con un buffetto sulla guancia.
Un minuto dopo cambia la maschera e si straccia le vesti: nessun corrotto nelle liste! (i corruttori si, però, perchè se no, non si capisce chi abbia corrotto Mills)... Berlu, il carnevale è finito.

lunedì 22 febbraio 2010

chi sono i veri disabili

L'articolo di Severgnini http://www.corriere.it/cronache/10_febbraio_22/severgnini_484bc79a-1f7d-11df-b445-00144f02aabe.shtml mi conferma una notizia che mi sembrava troppo stupida per essere vera: su facebook si è formato un gruppo "Giochiamo al tiro al bersaglio con i bambini Down".
Sono solo quattro vigliacchi senza palle, come tutte le persone che se la prendono con i più deboli, ma ugualmente le frasi con le quali hanno presentato l'ideona mi hanno inumidito gli occhi e rabbrividito la pelle.
Il cromosoma in più rende il bambino down incapace di fare alcune cose, ma anche geneticamente propenso ad essere più affettuoso, dolce, sensibile di un bambino "normale".
I face-idioti anti-down e i molti altri gruppi demenziali che pullulano su f.b. sono i veri disabili della società: diversamente abili nell'umanità, sicuramente abili nella bestialità.
Mi rimane solo un dubbio, che ho girato a Severgnini: siamo sicuri che dare loro visibilità mediatica sia una mossa strategicamente vincente?
Se non si impara a ignorare uno stupido, va a finire che crede di essere intelligente

giovedì 18 febbraio 2010

ci sono momenti



Ci sono momenti (rari) in cui la vita ti entra dentro.

martedì 16 febbraio 2010

addio vecchio scarpone

In questi due giorni di vacanza sulla neve ho capito alcune cose di vitale importanza: la prima in ordine di gravità e urgenza è che devo rottamare i miei vecchi scarponi. Domenica pomeriggio, dopo la scivolata su ghiaccio numero 4, la mia amica numero 6 mi intima: fammi un po’ vedere questi scarponi! Approfittando del mio sedere per terra, mi solleva la gamba destra, dà una rapida occhiata e sentenzia, con quella sua aria da “non ammetto repliche” che a volte risulta poco carina: -è ora di cambiarli, fuma!- al che l’amica numero 5 propone: -potrebbe essere un’ idea per il tuo regalo di compleanno, ma dovresti aspettare fino a novembre-, al che la 4 precisa: -e poi se li vuoi come questi sarebbero fuori budget, mi spiace-. Al che la numero 3 suggerisce: -vai a comprarli subito, che forse riesci ancora ad accaparrarti qualcosa in saldo- Al che la numero 2 mi ricorda: hanno anche perso l’impermeabilità, quando li togli hai i piedi inzuppati. Al che la numero 1 non parla, è rimasta a casa con il mal di pancia. E meno male che non parla, perché possiede una lingua affilata come un rasoio al quale hai appena messo la lametta nuova: sarebbe capace di lasciarti un graffio anche su un argomento così innocuo. Consapevole della tragicità del momento tento di convincerle a cantare in coro “vecchio scarpone quanto tempo è passato”, in onore dei miei antichi, fedeli, comodi scarponi, per ricompensarli di tanti anni di servizio, ma non accettano, a causa delle mie dissonanze acustiche. Mi viene in mente il momento del loro acquisto, quando il commesso, dopo essersi informato su quale uso ne avrei fatto, tentò di dissuadermi dicendo: è come comprare una ferrari quando basterebbe una 500! Naturalmente li comprai, per fare dispetto al simpaticone ma soprattutto perchè costavano poco più del 500.
Così per 15 anni ho camminato con una ferrari ai piedi.

sabato 13 febbraio 2010

Testimoni reticenti

G. mi chiede con chi vado, in montagna. -Te l'ho già detto ieri, con le mie amiche-
-Ma quali, di preciso?- insiste -Insomma- sbotto, -da un quarto di secolo ho 6 amiche, ne conosci mariti figli divorzi e miracoli, e adesso ti devo dare l'elenco scritto?-
-Va bene, se non me lo vuoi dire...- conclude con nota di lesa maestà.
Questo "Se non me lo vuoi dire" l'ho già sentito poco fa, quando mi ha chiesto il nome del rifugio e io non me lo ricordavo. Cominciano a girarmi un pò. Mentre preparo la cena mi informa sulle previsioni del tempo - deve essersi collegato al meteo- e ritorna all'attacco per sapere DOVE esattamente andrò. Come se non glielo volessi dire APPOSTA. -A quale altitudine si trova, questo rifugio?- -Bò!- rispondo, esaurientemente. -Ma come si fa a non sapere dove si va?- chiede tra lo spazientito, lo sconsolato e il sospettoso. -Mi fido della Paola- rispondo. 
-E quanto ci vuole per arrivarci?- prosegue l'interrogatorio
-Come viaggio in auto non ne ho la minima idea, so solo che per arrivare al rifugio dobbiamo fare cinque chilometri a piedi- (per fortuna, che una cosa la so!)
-Ma NON SI PUO' andare in un posto senza sapere dov'è, quanto tempo ci si metterà, a quale altitudine si trova il rifugio ... E poi, per me partite troppo tardi. Arriverete su col buio."
Quando arriva il terzo -Va beh, se non me lo vuoi dire-, mi incazzo.
Al corso P.M. i testimoni dell'emme non avevano detto che nel corso dell'emme il più delle volte ci si sarebbe mandati a.f.c. per delle cazzate.

giovedì 11 febbraio 2010

Ne abbiamo parlato per anni

Ne abbiamo parlato per anni, e gli anni sono diventati decenni: dobbiamo farlo, un week end insieme, senza figli e senza mariti. 
Ma c'era sempre qualcosa di più importante: eravamo incinte, dovevamo scodellare, poi allattare, poi allevare. 
Il pupo avrebbe pianto tutta notte, senza la mamma, e poi il marito andava in trasferta, e nel frattempo un altro pupo si beccava i pidocchi. 
Quando i figli raggiunsero finalmente l'età in cui potevano sopravvivere per una notte senza la mamma, un genitore si ammalava, la suocera dava il suo da fare, il cane aveva mal di denti e il gatto la congiuntivite. 
Nel frattempo, la pupa che non aveva bisogno di noi si lasciava col moroso, e tornava piccola quel tanto che basta. 
Quando Anna comprò un camper ci fu una nuova fiammata d'entusiasmo, progettammo una fuga con quello, dovevamo solo avere un pò di pazienza e aspettare che l'amica si impratichisse un pò nella guida della casetta con le ruote. Ma mentre si impratichiva, per un piccolo errore di misura infilò il tetto del camper nell'arco del cortile, e il progetto sfumò. 
Così non ne parlammo più.
Eppure, non so come, chi e quando hanno organizzato, sabato si va. 
Oddio, non ci crederò fino al momento in cui mi avvolgerò nel sacco a pelo, al caldo del rifugio, pronta a ciacolare fino a quando le parole si impasteranno di sonno. 
Di cosa parleremo? Un antipasto di lavoro, fino a che qualcuno -di solito io- metterà il veto. Poi sarà la volta di ... figli lazzaroni, marito brontolone, malanni di genitori e suoceri, badanti, riparazioni casalinghe, cani gatti e pappagalli. Perchè la nostra vita è quella. Speriamo ci sia il posto anche per qualche sogno.

lunedì 8 febbraio 2010

il tarlo arderà


Davanti al camino c'è una cesta di legna, e nella legna deve esserci un tarlo, che ogni sera, quando spengo la radio e mi dedico alla lettura o al p.c., torna a infastidirmi col suo ronzio. 
Mi deconcentra, ma prima o poi arderà. 
Anche nella mia testa c'è un tarlo: in verità ce ne sono tanti, ho il cervello come un gruviera, ma l'ultimo in ordine di apparizione è il pensiero del web. Ogni volta che cerco di decifrarlo, mi manca il codice, ogni volta che mi ci azzuffo, ne esco perdente. Un sudoku per pochi, un puzzle a cui mancano i pezzi, un conto che non torna (allora, hai finito? Abbiamo capito)
Su consiglio di un amico al quale ho triturato le palle con questa storia ho letto "la strada delle croci", ma mi ha tarlato ancora di più. Terminata la lettura ne ho scritto un post, poi mi sono accorta che svelavo l'identità dell'assassino e l'ho scartato.
Cosa cerco nel web? Cosa lascio nel web? Cosa trovo nel web? Ma, first of all, cos'è il web? Fino a poco tempo fa pensavo fosse un mare, con i suoi abissi inesplorati, anche infidi, i venti e le maree, gli iceberg nascosti, gli squali in agguato ma anche i delfini generosi, le bonacce, i porti rassicuranti e i guardiani del faro. Poi, un mattino di gennaio, entrando con la mia auto in uno strato improvviso di nebbia, ho pensato che il web era quello: niente altro che nuvole. Evanescenza allo stato gassoso. Cosa ci fai, nella nebbia? Azioni inutilmente i tergi, abbassi il finestrino, cacci fuori la testa, aguzzi la vista, cerchi la linea di mezzeria, ma, per quanti sforzi tu possa fare, non vedi un cacchio. Non ti resta che accendere gli antinebbia, navigare a vista, sperare di non andare a sbattere. Oppure aspettare che quello dietro ti sorpassi per seguirlo, alla cieca, che se va lui nel fosso ci vai anche tu.

giovedì 4 febbraio 2010

Quello lì

Accompagno il mio papi a fare rifornimento di globuli rossi. Viaggiare con lui è uno spettacolo, anzi è come rivedere un film del quale conosco in anticipo tutte le battute del protagonista.
So cosa mi chiederà in prossimità di quella curva ("Abita ancora qui ancora quella professoressa di inglese che era ricoverata con me?") (Si parla di un ricovero di 30, 40 anni fa) (E io ogni volta a rispondergli che non l'ho mai conosciuta e non so chi sia)
Conosco le esatte parole del primo dosso sotto la chiesa: "Pruà, pruà quanti cà: cinquant'an fa che ghera negot!" (guarda, guarda quante case, cinquanta anni fa qui non c'era niente)
Quando mi immetto sulla statale lui esclama con tono stupito, come se fosse la sua prima uscita dopo un'ibernazione durata 200 anni: "Pruà, pruà quanti machen! Per forza che ghè l'inquinament!" (Guarda, guarda quante auto, per forza c'è inquinamento!) (ma è l'incredulità con cui lo dice, la cosa più incredibile)
... Per poi concludere la riflessione ambientalista, all'entrata nella rotonda, con una delle sue frasi predilette: "Uomo pallido distruggi madre terra"
Coraggio, mi dico, mancano solo 17 chilometri di monologo. Che alle 6.45 di mattina mi ha già indotto uno stato soporifero poco adatto alla guida.
Accendo la radio, tenendola bassa per non dargli l'idea che PROPRIO non lo voglio ascoltare. Berlusconi in Israele ottiene l'effetto desiderato di interrompere la litania. Inizia un altro monologo: "Cesà in de l'è nà induè chel lè a ciapà toc chi daneè chel gà" (chissà come ha fatto quello lì a diventare ricco).
Poi c'è la notizia di Berlusconi e qualcosa che non ricordo: "Amò! Ien semper a dre a parlà de chel lè" (Ancora! Parlano sempre di quello lì)
La camera vota il legittimo impedimento: "Saran mia diventà toc scemi, chi che ghe so al parlament" (non saranno per caso diventati tutti scemi, i parlamentari)
Siamo a meno 10 chilometri di monologo, ma, mannaia all'orario di punta, c'è coda.
Quello che più mi intriga, di tutti i suoi monologhi, è quando usa l'aggettivo dimostrativo "quello lì", come strategia per non nominare il nome di Silvio invano.
L'aggettivo dimostrativo "quello" si usa per indicare una cosa lontana da sè.
Istintivamente, papi con la sua licenza elementare si dimostra fine conoscitore della grammatica italiana: in effetti, non conosco nessuno più lontano dal mio papi di quel papi là.

mercoledì 3 febbraio 2010

Appunti di scienze


DAGLI SCARTAFACCI


E' sempre bello rileggere gli scartafacci. Durante l'influenza di novembre, dopo averli scartabellati, avevo messo in bozza questi appunti di scienze, datati 1979 (di trent’anni fa? Ho dovuto ricontare le decine con le dita, per esserne sicura)
Ora, o pubblico, o elimino. Pubblico.
“Gli alisei spirano costantemente dai tropici all’equatore … Cosa sono venuta a scuola a fare? Ah, sì, per ritirare la carta in segreteria. Però non ciò mica voglia di fare le foto, ho i capelli ribelli e stupidi in questi giorni. Sono stata in giro fino alle 11, ho comprato il libro “il lupo nella steppa”. Mi sembra bello ... Mille sensazioni. La sensazione di vivere, nonostante tutto, in questa giornata di sole, e di essere io l’artefice … La sensazione dell’amicizia delle cose e delle persone intorno, uguali a me, ognuno con i suoi problemi ma tutti insieme a scorrere in questa giornata, diversi ma in fondo simili nel dolore universale. Sento di far parte di un dolore comune e di una gioia comune. Le mie sensazioni sono quelle degli altri, non sono interamente sola nella mia battaglia di vita, c’è il mondo intero a sopportare la mia stessa sofferenza e ad aumentare la mia felicità. Un minuto dopo queste indistinte e confuse sensazioni di pace si tramutano in scontentezza, di me stessa e delle cose estranee che mi circondano indifferenti … o che mi rendono triste con la loro falsa voglia di vivere. E che mi opprimono col volere incanalare anche me in questo falso modo di andare avanti, ogni giorno uguale al precedente, indistinto nella sua noia. Mi sento sola e senza capacità di affrontare il dolore, la vita e la morte, di superare le eterne tragedie, nonostante tutto esclusivamente individuali. Mi sento brutta e incapace e intorno ogni cosa è contro di me, oppure mi sfiora senza capirmi. Nessuno che mi voglia bene, perché nessuno conosce chiaramente quest’immagine offuscata e confusa, nello specchio posto davanti a me."
...Mamma mia. Che sbalzi d'umore, terminati con nota di vittimismo tipicamente adolescenziale. Però c'era anche qualcosa di buono, sotto. E i poveri alisei, che fine avranno fatto? Soprattutto, cosa saranno mai? Che nome delicato, alisei. Venti dai tropici all’equatore? I tropici sono sotto o sopra l’equatore? E come chiamare il vento dei pensieri, quello che non mi permetteva di rimanere concentrata sulle lezioni, a meno che fossero quelle di Totò? Il prossimo post sarà per lui, è già lì, in bozza, che aspetta, da tempo, ma non lo voglio mollare.


lunedì 1 febbraio 2010

Questione di feeling

Infilo i piedi protetti da due paia di calzettoni negli scarponi freddi; sotto la suola c’è uno strato di fango secco, a ricordo dell’ultima camminata. Vorrà dire che si autopuliranno oggi: la neve caduta durante la notte ha ricoperto il parco di un sottile e ghiacciato nevischio. Da questo sentiero non è ancora passato nessuno prima di noi, a parte un cane che a giudicare dalle orme deve essere un incrocio tra uno yeti e un mastino tibetano. Proprio oggi che ho dimenticato i bastoncini da trekking nel baule dell’altra auto, e i petardi spaventa-bestie-feroci nello zaino delle escursioni più serie.
Osservo la valle spruzzata di neve, i boschi, i terrazzi coltivati a vite, le cascine evanescenti, il tutto immerso in una leggera nebbia ... la nebbia ai dolci colli nevischiando sale.. ma a me sembra che scenda... Un fruscio alle mie spalle mi induce a voltarmi, e due zampe atterrano sulla mia giacca nuova. Non è il cane mastodontico di cui temevo, non abbaia, non è gigantesco, non pare aggressivo .. .Sembra solo in cerca di qualcuno con cui condividere una scampagnata. Ma sì, dai, facciamo che mi sta simpatico. Corre avanti quasi saltellando, il muso incollato al sentiero, come un cane da tartufo, fiutando tracce di non so cosa o chi. Ogni tanto si volta per vedere dove siamo, il buffo naso bianco di neve . “Cocainomane!” lo chiamo, col risultato che tenta l’arrampicata un’altra volta. Questa volta lo sgrido più seriamente, (la giacca nuova, cacchio!!) e mi mostra i denti (sto dando troppa confidenza a un cane sconosciuto? Io, con la mia paura dei cani? ) No, era solo uno sbadiglio. Non devo essere stata tanto severa, se la reazione è uno sbadiglio. Pipì gialla su campo bianco, cacca , poi ancora pipì, cacca, cacca, pipì. Adesso ricordo perché mi sono sempre opposta all’accoglimento di un quattrozampe nella nostra famiglia. Quando una muta di cani a guardia di una cascina ci accoglie in malo modo, mi rassicura l'idea che il cane amico ci difenderà, ... o che se la prenderanno con lui, mentre noi ci allontaneremo, lasciando che se la sbrighino tra di loro.
Eccolo che affronta il primo rivale a muso duro, che grinta, è proprio un leoncino .. peccato che alla prima abbaiata faccia un salto laterale degno di un cartone animato e se la squagli, lasciandoci al nostro destino.
Da questo momento fino al termine della passeggiata G. lo chiamerà “il leone”
Ci sono momenti di smarrimento in cui, precedendoci, non azzecca la deviazione giusta, e pensiamo di averlo seminato, ma poi, dopo un po’ ce lo ritroviamo tra i piedi, che corre. Avanti e indietro. Cistite e dissenteria. Ma perchè se ne va in giro, con questo freddo?
Quando mi metto carponi per oltrepassare un albero caduto di traverso sul sentiero, mi trovo il suo musetto, dall’altra parte, a un centimetro dalla mia faccia, alla stessa altezza. Si butta nella neve con la schiena, fa una capriola, si scrolla, riprende la corsa. Sembra felice. Di chi sarà? Avrà perso la strada di casa? Sarà stato abbandonato da qualche bastardo? (perché i veri bastardi sono umani, non canini) Quando usciamo dal bosco e ci avviciniamo al parcheggio comincio a immaginarmi l’ espressione di Leone nel momento in cui saliremo in macchina e lo lasceremo a terra. G. mi legge nel pensiero (come farà?), mi mette un dito sulla fronte e dice: “Se anche per un SOLO attimo hai pensato di mettere questo cane nel baule, allora vuol dire che sei proprio PARTITA”)
Quando comincio a sparare la mia scemenza sulla possibilità di chiamare l’accalappiacani per non farlo morire di freddo, (quando arriva l’accalappiacani chissà dov’è, leone) (e poi vedrai che la ritrova, la sua casa) (e poi, stai qui tu ad aspettare l’accalappiacani?)….due donne affacciate a due finestre di una stessa casa chiamano a gran voce. Un nome strano, non lo ricordo, non era Leone, comunque. Il chiamato non vuole sentire ragioni, nemmeno quando parlano di pappa, e per farlo entrare nel cancello dobbiamo fingere di essere invitati anche noi. La signora dice che dovrà sterilizzarlo, per evitare queste fughe. Ora ho capito il senso di tutto quel feeling, mi aveva scambiata per una cagnetta.