sabato 26 giugno 2010

chi piange nel bosco?

Mentre camminiamo lungo il sentiero del viandante, una bellissima linea curva, morbidamente collinare che percorre la sponda orientale del lago di Como da Abbadia a Colico, uno strano pigolio proveniente da un castagno ci fa istintivamente alzare la testa per individuare il pennuto appollaiato su un ramo e nascosto dalle foglie.
Silenzio, silenzio, silenzio, testa alzata, vento, pigolio. Che verso è? Dov'è l'uccellino? Eppure il suono sembra vicino.
Silenzio, silenzio, silenzio, messa a fuoco ad altezza d'occhi, vento, pigolio. Non vedo niente, ma non è una novità.
Silenzio, pigolio. "E' il ramo" sentenzia G. -vista d'aquila-.
"Ma smettila! Gli alberi non parlano!" risponde vista miope.
Allora ascolta, insiste lui.
Silenzio, silenzio, silenzio, occhi miopi strizzati a fessura, vento, pigolio. Che forse non è nemmeno un pigolio, ma un cigolio. Ascoltiamo ancora e ancora. Sì, G. ha ragione, è il ramo.
Un ramo spezzato che non è riuscito a cadere perchè si è incastrato tra i rami più piccoli di una pianta più bassa, sua vicina di bosco. Piange, il ramo. Un fulmine, la neve o un forte vento l'hanno rotto, e ora è secco. Secco e appoggiato a quella piantina così sottile che non so come faccia a tenerlo su. Forse il ramo spezzato chiede aiuto al viandante: spostami da qui, fammi sto favore. Che senso ha la mia vita? Voglio cadere a terra, adagiarmi tra le mie foglie, diventare humus.
Questa immagine mi fa pensare a un discorso fatto ieri sera, con un amico, sull'eutanasia. E, come succede spesso coi pensieri, che uno tira l'altro come le ciliegie, eccomi a pensare a D.
Ma questo è un altro post.

mercoledì 23 giugno 2010

L'estate è arrivata di corsa

L'estate è arrivata di corsa, col fiatone, non ha avuto nemmeno il tempo di cambiarsi d'abito e porta ancora addosso, in queste sere, il soprabito della primavera: si scusa del ritardo senza sapere che mi fa un gran favore, perchè quell' abito inadatto di temperatura primaverile mi permette di stare sul balcone, dopo cena, in stato di esaurimento da fine giornata lavorativa e di benedetto far niente senza dover fare ancora i conti con le maledette zanzare. L'intenzione è di aspettare il buio leggendo questo piccolo libro che mi sono portata appresso tutto il giorno, ma dopo poche pagine esso giace inerte sul mio grembo, presa come sono ad assaporare questo momento: mi godo il canto degli uccelli stupendomi di quanto siano instancabili in questa loro attività, mi godo il silenzio rumoroso del bosco che si prepara alla notte come uomo ordinato che si prepara al sonno cercando di non svegliare la moglie che già dorme, mi godo quest'ultima ora di luce liberata dal fastidio del sole che nel pomeriggio abbaglia il lato sud della casa, mi godo questa aria fresca, al riparo sotto un plaid esageratamente grande. Mi giro su un fianco per quanto una sdraio lo permetta, mi rannicchio sotto la coperta e chiudo gli occhi.
Ma... si sa, tradizione familiare esige che in questa casa, appena la mamma s'addormenta, qualcuno provveda a svegliarla. Dafne mi saluta, dove va tutta in tiro, di notte? Ma quale notte, sono solo le 21.30. Ora ricordo, sono sveglia, va a un primo appuntamento. Con un tipo col quale, finora, ha scambiato più passi di samba che parole. Che ha chiesto il suo numero al suo maestro di ballo. Che stasera l'ha chiamata. A cena Dafne mi ha chiesto di cosa si parla, a un primo appuntamento. (E-che-ne-so-io?) Rispondo la prima scemenza che mi viene in mente: "Non è obbligatorio parlare, si può anche stare zitti" "Sì, così faccio la figura della cretina" "Allora chiedigli se lavora, che lavoro fa, quanto guadagna. Prima, però, ricordati di chiedergli se ha la morosa " "Mamma! Ti pare che mi chiedeva di uscire, se non era single?"
Ginocchio esprime disapprovazione da tutti i pori. Fino a ieri perchè correva voce che il tipo avesse 29 anni, e quindi era troppo grande per lei, e voi bravi genitori che non le dite niente, stasera invece si è scoperto che gli anni sono 25, però non gli va bene lo stesso, dice che secondo lui è "ricchione", perchè uno che frequenta una scuola di ballo è ricchione.
Dafne conclude la discussione dicendo che deve solo capire se gli è simpatico, stasera, perchè magari sembra un gran figo e poi scopre che le sta sulle palle.

martedì 22 giugno 2010

Che tu sia per me il coltello


"Amore è il fatto che tu sei per me il coltello con cui frugo dentro me stesso" scrisse Kafka a Milena.

sabato 19 giugno 2010

guarire con la scrittura

"La scrittura è infallibilmente terapeutica, liberatoria. Allora voglio scrivere, scrivere. Scrivere per esistere, non essere più bloccata dalle mie paure, non sentirmi più male per paura di quello che gli altri pensano di me. Voglio scrivere per pensare diversamente, non dirmi più che non valgo nulla, che sono troppo questo e non abbastanza quello. Per non avere più mal di fegato, per avere le mie mestruazioni, sciogliere il mio plesso. Scrivere per mostrarmi, per apprezzare e godere la mia musica interiore. Per ridere e piangere sulla carta prima e poi nella mia vita. Perchè il mio corpo sia uno e non scoppiato in mille pezzi. Voglio scrivere per espellere la palla che è nella mia gola, prendere le mie decisioni in completa libertà, non sentirmi più presa in trappola con una mannaia sopra la testa, colpevole di tutto e di niente, per rompere il ghiaccio e scoprire il mio specchio, non giocare più a nascondino con me stessa, con gli altri. Voglio scrivere per guarire dal mio passato, perchè le parole non mi facciano più male, per liberare mia figlia da me, per sentirmi muovere, svegliarmi, essere infine liberata dai miei sette peccati capitali ... Voglio scrivere per rivivere."

Tratto dal libro "guarire con la scrittura"
Sottotitolo: superare scrivendo sofferenze, frustrazioni e traumi

La tesi: scrivere aiuta a pensare, a prendere consapevolezza di un problema, ad accettare di avere pensieri irrazionali, cupi o detestabili, a capire perchè soffriamo, ad affondare la vanga in uno strato di terra così duro da essere diventato impermeabile, la terra di un presente sulla cui superficie rivoltiamo le zolle umide di ferite del passato, che credevamo di poter dimenticare seppellendole .
Scrivere per dare corpo ai fantasmi di questo passato mettendo nero su bianco i gesti le emozioni le voci e finalmente guardarle in faccia, presentare il conto a chi ci ha fatto del male.
Una bella tesi, anche se non è proprio tutto così semplice, perchè puoi così scrivere, i conti alla fine non tornano mai.

giovedì 17 giugno 2010

abito sempre qui da me



Gino castaldo intervista Guccini:

"E comunque già a cinquant'anni mi resi conto tragicamente che gli anni che mi restavano da vivere erano meno di quelli avevo già vissuto, figurarsi ora. Ma non ci penso tanto, solo quando sento dei limiti. L'altro giorno sono andato al mulino, era la casa dei miei nonni dove abitavo da piccolo, c'è una mulattiera che scende giù, guardavo i sassi, attento a non inciampare. C'è il fiume, una volta lo passavo saltando di sasso in sasso, ora certo no. C'è anche il lago, d'estate si stava là, lo attraversavo tutto e tornavo indietro, ora faccio sì e no cinque metri, ma ancora mi tuffo, anche se l'acqua è gelida. Però notavo una cosa, da giovane facevo i concerti seduto, ora li faccio in piedi, sono proprio un coglione..."


Sai che in queste ultime settimane, Francesco, ascolto spesso le tue canzoni, dopo decenni di silenzio gucciniano?
Sai che non sapevo che in questi giorni compissi settanta anni?
Sai che mi piace come rifuggi naturalmente le banalità, l'accuratezza con cui scegli ogni singola parola come un giocatore che sceglie le carte dopo aver valutato tutte le possibilità, l'apparente noncuranza con cui poi butti lì le frasi, come se non volessi prendere troppo sul serio le emozioni che risvegli?
Mi piace la tua arte dell'accoppiare cose serie e facete, sacro e profano, letteratura e vita quotidiana, come un
sapiente chef che abbina sapori opposti con risultati sublimi.
Di questa bellissima canzone che nemmeno conoscevo ho scelto d'istinto la frase: abito sempre qui da me, che a me dice la possibilità di SEMPRE cambiare ma insieme la volontà di MAI rinnegare la propria essenza.
Sai che ricordo quando sul finire degli anni 70 io e la mia amica andammo in giro in motorino a tappezzare i muri del paese e dei dintorni di manifesti col tuo faccione barbuto, in occasione di un tuo concerto dalle nostre parti?
Il nostro primo concerto. Cantasti con Flaco, un chitarrista argentino, non ricordo altro, nemmeno se indossassi l'eskimo innocente.

HO ANCORA LA FORZA

Ho ancora la forza che serve a camminare,
picchiare ancora contro per non lasciarmi stare
ho ancora quella forza che ti serve
quando dici: "Si comincia !"

E ho ancora la forza di guardarmi attorno
mischiando le parole con due pacchetti al giorno,
di farmi trovar lì da chi mi vuole
sempre nella mia camicia...

Abito sempre qui da me,
in questa stessa strada che non sai mai se c'è
e al mondo sono andato,
dal mondo son tornato sempre vivo...

Ho ancora la forza di starvi a raccontare
le mie storie di sempre, di come posso amare,
di tutti quegli sbagli che per un
motivo o l'altro so rifare...

E ho ancora la forza di chiedere anche scusa
o di incazzarmi ancora con la coscienza offesa,
di dirvi che comunque la mia parte
ve la posso garantire...

Abito sempre qui da me,
in questa stessa strada che non sai mai se c'è
nel mondo sono andato,
dal mondo son tornato sempre vivo...

Ho ancora la forza di non tirarmi indietro,
di scegliermi la vita masticando ogni metro,
di far la conta degli amici andati e dire:
" Ci vediam più tardi ..."

E ho ancora la forza di scegliere parole
per gioco, per il gusto di potermi sfogare
perché, che piaccia o no, è capitato
che sia quello che so fare...

Abito sempre qui da me,
in questa stessa strada che non sai mai se c'è
col mondo sono andato
e col mondo son tornato sempre vivo...

Testi di Francesco Guccini

martedì 15 giugno 2010

Non potho reposare



Al testo musicato dai tazenda preferisco la versione originale, una serenata sarda
Parole di Salvatore Sini (prima meta' del '900)
Non posso riposare, amore e cuore,
penso a te in ogni momento
Non essere triste, gioia d'oro
né con dispiaceri o brutti pensieri
Ti assicuro che solo te bramo,
poiché t'amo forte, t'amo, t'amo
Amore mio, gioia da stimare,
il mio affetto è solo per te
se avessi avuto le ali per volare,
mille volte all'ora sarei (da te) volato
almeno per venire a salutarti,
o anche soltanto per vederti,
un'altra cosa ancora, non nasconderti.

Andrea Parodi, cantautore sardo, voce dei tazenda poi staccatosi dal gruppo, è morto per un cancro 4 anni fa, a Cagliari. In un'intervista confidò che quando seppe che il tumore non era operabile, pensò che qualcuno aveva ascoltato le sue preghiere, perchè in caso contrario gli avrebbero asportato il diaframma e non avrebbe più potuto cantare.

domenica 13 giugno 2010

margherita seduta

Per il compleanno di un'amica noi amiche le abbiamo regalato il biglietto per l'entrata alla mostra di Modigliani "Il mistico profano". Il dono è comprensivo della nostra compagnia, of course. Quasi tutti i dipinti esposti ritraggono corpi di donna e visi di uomini e donne, principalmente donne. Nei nudi femminili il contorno dei corpi corrisponde a linee curve adagiate, nei ritratti i visi sono magri, lunghi ma non aguzzi, dai tratti netti, decisi. Il collo lungo e sottile, il naso quasi attaccato alla bocca, le labbra serrate. Gli occhi sono strani: o mancano di pupille, o sono socchiusi, o ridotti a fessure, o strabici, o asimmetrici. Come se l'artista volesse togliere alla musa il potere della vista, come se a colui che dipinge dessero fastidio degli occhi che lo scrutano, o come se temesse di entrarvi dentro e coglierne l'essenza. E poi sono sempre occhi dall'espressione triste e malinconica. Occhi deficitari, bocche impenetrabili, tratti asimmetrici, tre espressioni del mistero femmineo o dell'incomunicabilità uomo donna? Non ci capisco nulla!
Speravo che l' artista del nostro gruppetto ci facesse una lezione sull'arte di Modigliani, ma non si era preparata, e non ha saputo spiegarmi niente nemmeno su questa storia degli occhi. Ha detto che era fuori servizio.
Alla vista del dipinto "Margherita seduta", hanno tutte concordato che ci vedevano qualcosa di me. Chi per i capelli, chi per la frangetta, chi per gli occhi, chi per la bocca, chi per il collo, chi per "quell'aria da estranea al mondo". Estranea al mondo, mi piace. Uno, due, tre, quattro, cinque, sei. Oggi non manca nessuna, all'appello.
Comunque, la gita della seconda età è andata bene. A parte che non abbiamo voluto dare retta al navigatore e quindi ci siamo perse, a parte che ci siamo trovate imbottigliate nel traffico di centro città in giorno di mercato, a parte che non c'era un buco dove parcheggiare la macchina, a parte il ritardo con le altre che ci aspettavano al museo, a parte che non abbiamo pranzato perchè una di noi aveva un appuntamento nel pome, a parte che quella che doveva accompagnarmi a casa ha perso le chiavi della macchina .. tutto a posto.
Mi farò prestare da C. il catalogo della mostra che le abbiamo regalato, per capirci qualcosa di quei visi.

venerdì 11 giugno 2010

il terzetto

Mentre g.i.p. è in sala operatoria l'infermiere entra con un terzetto. Lui, lei, il borsone. Peccato, si stava così bene e così alla larga da soli in una camera da quattro letti. L'uomo ha un'espressione severa, forse truce, risponde al mio saluto ma ne farebbe anche a meno, la donna appare stanca (forse esausta), preoccupata (forse angosciata), rassegnata (forse vittima), sicuramente sovrappeso.
L'uomo in attesa di essere operato sostituisce jeans e camicia con un pigiamino a righine azzurrine, un capo che forse gli avrebbe donato quando aveva 5 anni, ma che adesso lo fa sembrare un TSO che si allontana di soppiatto dall'ospedale dove lo hanno trascinato senza tanti perchè e percome. La donna-forse esausta infila nelle grucce i due capi e li appende nell'armadietto. Li ricordo bene perchè durante le ore di attesa che seguiranno mi capiterà di aprire più e più volte l'anta sbagliata, e di starmene a fissare quei due capi perfetti , cercando di capire cosa stessi facendo e accorgendomi dell'errore solo dopo un pò che li fissavo senza vederli. Ottima stiratrice, la donna.
Riprovo a esaminare mister simpatia: altezza media, calvo, terribili peli caprini sul mento, corporatura massiccia. Nè brutto nè bello, forse quasi commestibile, ma .... perfino George perderebbe il primo posto nella mia lista della fighitudine, se lo vedessi camminare in quel modo: cammina buttando là le gambe e quasi dondolandosi con la schiena. L'unica cosa apprezzabile sono le spalle, provviste di una bella muscolatura da scaricatore di porto. Chiedo a donna preoccupata che tipo di operazione subirà il marito. Devono ricostruirgli la cuffia della spalla, una cosa complicata. Giustappunto la spalla! Mica si vede, lo sfacelo interno! Mi spiega che la spalla del marito è andata in pappa per l'usura lavorativa, e mentre me lo dice mi fa il gesto di uno che spacca i sassi, o la legna. E' un'immagine un pò anacronistica, me ne rendo conto, ma mi ha fatto proprio quel gesto lì, facendomi venire in mente uno dei sette nani, con il piccone sulle spalle, che canta andiamo a lavorare.
Mentre g.i.p. poco fa ha atteso l'operazione senza quasi spiaccicare verbo, ma facendosi i cazzi suoi come d'abitudine, s.i.p. subissa la moglie di richieste: e il cuscino e il cortisone e l'acqua e ricordati di portarmi la pizza stasera. La pizza??? Ma non deve essere operato dopo mio figlio? Ah, ma lui non è la prima volta che si opera, e mangia sempre, dopo, quello che vuole. Miseria, ha anche uno stomaco da scaricatore di porto, non solo l'aspetto.
La mattina seguente ginocchio è in camera da solo, essendo l'unico che non può muoversi. Sul comodino del vicino troneggia un quarto di anguria sgocciolante umidità incelofanata. Chiedo a ginocchio dolente se spalla con tutore, che ho intravisto in corridoio, sia simpatico.
"Che ne so, è stato in giro tutta notte" (uno sguardo al cellulare)
"In giro? E dove? Ma non l'hanno operato?"
"Sì, è uscito dalla sala operatoria alle 7 e mezza, ha mangiato una pizza, verso le 10 è arrivata una tipa, avrà avuto un paio d'anni più di me" (uno sguardo alla playstation)
" Una tipa in camera di notte??"
"Ma no, sono usciti, poi è stato ricoverato un motociclista tedesco sfasciato e ho dovuto fare l'interprete e non ho dormito tutta notte e al vecchietto hanno dato l'aspirina e aveva le ulcere allo stomaco ed è stato male" (uno sguardo al portatile)
"Ma in questo posto si può entrare e uscire di notte come niente fosse?"
"Cosa ne so ... non ho capito i legami familiari, di quel tipo lì. Quella grassa dev'essere la sorella, ma quella di stanotte è troppo giovane per essere la moglie" (uno sguardo al pappagallo)
"Puoi uscire, mamma? Devo pisciare, e solo dopo il mal di pancia tremendo di stanotte ho capito quanto sia bello riuscire a farlo"

... Sììì, la sorella. Che ingenuo, il mio ginocchio dolente.

Avete capito, che tipino, questo spalla in pappa: alla moglie rifila niente più che una bella spalla in pappa da accudire per benino, e uno stomaco da riempire per benone, ma tutto il resto del corpo funzionante lo tiene in serbo per l'amante.
Penso agli occhi lucidi della donna nel momento in cui il marito è partito per la sala operatoria.
Mentre g. svuota il pappagallo suggerisco a ginocchio di estorcere a spalla un centone in cambio del silenzio.

domenica 6 giugno 2010

niente pigiama

Ginocchio in pappa non ha voluto comprarsi un pigiama, per mettersi a letto ha indossato un paio di pantaloncini corti e la maglietta della squadra. L'infermiere che poco fa ha sbrigato le pratiche dell’accettazione ora gli fa indossare camice e cuffia verdi tessuto non tessuto e gli spara un’iniezione di calmante nel sedere, come prassi. Gli chiedo se non avrà freddo, in sala operatoria, vestito così poco. Tipica domanda stupida di mamma stupida. l'infermiere è molto gentile, quasi materno nonostante debba avere supergiù la stessa età di mio figlio. (Prevedo già che g.i.p. mi chiederà, poi: "Mamma, secondo te era gay?") (“e anche se fosse? Era bravo, no?”)
Finalmente alle 10 arriva un donnone vestito di verde che lo porta in sala operatoria. Lo saluto con un gesto: come puoi parlare, in un momento così?
All’inizio leggo il giornale riuscendo anche a concentrarmi. Il Presidente della Repubblica Federale Tedesca si dimette perchè ha detto una verità (quasi come il nostro berlu che racconta palle per non dimettersi, penso) Ascolto la radio col cellulare. Rispondo ai messaggi di auguri. Osservo dalla finestra le persone che affrontano questa giornata di sole e caldo estivo, e ricordo l'invidia che provavo nei confronti della vita fuori quando, con g.i.p nella pancia, rimasi in ospedale per un mese. Quando venti giorni fa chiesi al chirurgo come avrebbero riparato il legamento di g.i.p., mi rispose: "nessun pezzo di ricambio sarà mai perfetto come quello che le aveva fatto lei, signora". Ma io non ho fatto niente, ho solo accolto e custodito e sparato fuori.
L’infermiere aveva ipotizzato tre quarti d’ora di operazione. Dopo un’ora e mezza comincio a dimenticare ciò che leggo. Mi accorgo che, coincidenza strana, mi sono portata un libro che mi avevano regalato quella volta del ricovero con ginocchio perfetto nella pancia. L'occhio dell'orologio.
Provo a scrivere. Scrivo, cancello, riscrivo. Scrivo delle mani del chirurgo, che stanno riparando un pezzettino che è nato dentro di me, ma che non è me, ma che è più di me. Strappo. Cestino giornale e fogli pieni di cancellature. Dopo un po’, sento la voce dello specialista. E’ in sala gessi. Ma allora, dov’è mio figlio, e soprattutto, chi lo sta operando, se non LUI? Forse il chirurgo è qui perché ha terminato l’operazione, vuol dire che tra poco sentirò il rumore di una barella e g.i.p. mi farà il gesto di ok.
E invece, si susseguono rumori di carrelli del pranzo emananti odori di cibo ospedalizzato, carrelli dei farmaci, suoni di campanelli, insomma un gran via vai ma niente letto ambulante con g.i.p. a bordo. E' un continuo alzare gli occhi inutilmente. Forse è la volta buona … un ragazzo in barella, con le flebo… ma perché dorme? Perché non è lui.
Scambio qualche chiacchera con i new entry che occupano via via gli altri tre letti di questa camera in attesa di essere operati oggi, ma soprattutto faccio un gran su e giù per il corridoio. Chiedo all’infermiere se mio figlio è stato smarrito in sala operatoria. No, risponde, credo che sia entrata una donna, prima di lui. I minuti susseguono lenti mentre continua a suonarmi il cellulare, e mi tocca rassicurare familiari e parenti mentre proseguo il su e giù per il corridoio dalle piastrelle vecchie e gli infissi scrostati.
Sono passate tre ore. Ri-chiedo, stavolta all’infermiera della sala operatoria. “Scusi, ma mio figlio dove è finito?” “E chi è suo figlio?” MA COME, CHI È MIO FIGLIO. “E’ venuta lei stessa a prenderlo alle 10, ricorda?” “Ah, sì, il crociato. Lo stanno operando adesso. Ma sa, il dottor I. è un tale precisino…” E menomale che è un precisino. Se non lo fosse stato, avrebbe fatto il macellaio, spero.
Non mi resta che sedermi in camera, appoggiare la testa al braccio, il braccio al letto, e chiudere gli occhi. Decido di non stare in corridoio e nemmeno di continuare a fissare la porta del blocco operatorio. Alle 14.30, arriva. E’ sveglio. Saluta. E’ vivo. Dove è finita la mia voce? Devo solo chiedergli come sta.

giovedì 3 giugno 2010

Vento forte sul Cornizzolo

Vento forte, sul monte Cornizzolo, così forte da riuscire a sferzare i pur bassi ciuffi d'erba e rendere cangiante il loro colore, come quel velluto che si schiarisce e scurisce a seconda del verso con cui lo si accarezza . L'erba è quella del pascolo che porta alla croce di ferro della cima.
Mentre salgo mi immagino che il vento mi sollevi i piedi e mi porti in giro, come uno di quei deltaplanisti che regolarmente si staccano da questo monte, andandosi anche a sfracellare sulle rocce, quando qualcosa va storto.
Immagino me stessa come una sagoma che spinta dal vento sorvola questa terra, una terra che è uno scrigno di tesori diversi ma vicini, una terra-scrigno resa preziosa proprio dalla vicinanza e dalla diversità di questi tesori d'acqua-monti-colline-boschi- pianure.
Una terra dove le montagne sembrano volersi avvicinare al cielo senza perdere di vista le colline e dove i laghi si divertono a prendere strane forme: una ipsilon rovesciata, un ottovolante, un cerchio imperfetto e uno perfetto.
Mi immagino planare sopra queste tavole blu scuro increspate dal vento, sopra punteruoli seghe e coltelli a forma di montagne, coperchi rossi a forma di tetto interrotti da macchie verde scuro a forma di boschi, poligoni a forma di campi coltivati, specchi riflettenti luce a forma di capannoni industriali, fino a entrare, dirigendomi verso sud, in una cappa di smog a forma di pianura, una cappa che nemmeno questo vento straziante riesce a penetrare.
Chiedo a G. di fotografarmi le nuvole, oggi bianchissime e defilate, perchè mi piacerebbe fare un video fatto solo di immagini di nuvole e cielo -questi amanti perfetti -, mentre io mi sdraio sotto la croce, al riparo dal vento, canticchiando "il cielo" di Renato Zero.
Quando scendiamo dalla cima il vento è ancora più forte di quando siamo saliti. Talmente forte che ogni tre passi G. si volta per vedere se per caso sua moglie si sia volatilizzata. Invece sono ancora ancorata a terra e stringo con forza le racchette, perchè se mi sfuggono chi le trova più. C'è una curva in costa dove il vento prepara a tutti un agguato, da sopra ho visto una donna che si curvava per resistergli, perciò non mi faccio trovare impreparata. Mi piego prima che mi pieghi lui. Dopo un pò mi accorgo che involontariamente sto stringendo anche i denti. Per il principio dei vasi comunicanti o solidarietà con le mani, non lo so.
Penso: resistere, resistere, e mi viene in mente il vento della vita. Una lieve brezza che ti dà piacere può trasformarsi in vento che comincia a darti fastidio, a volte in una bufera temporalesca che ti spaventa o una tromba d'aria che ti scoperchia il tetto.
Resistere, resistere. Stringere le racchette, i denti, coprirsi le orecchie, lasciare liberi gli occhi proteggendoli con gli occhiali, ancorarsi, non distrarsi, resistere. Perchè il vento cala d'improvviso, oppure piano piano, resta solo il sereno.