domenica 27 marzo 2011

il museo dell'innocenza

Ieri sera avrei voluto terminare la lettura del libro "Il museo dell'innocenza" dello scrittore turco Orhan Pamuk, Nobel 2006,
... perchè mi mancavano solo poche decine di pagine, e anche perchè mi aveva stufato, ma leggere di collezionismo all'una di notte concilia troppo il sonno, e tutti quegli orribili ninnoli esposti nel museo dell'innocenza perduta mi sono crollati sul naso. Un buon modo per augurare la buonanotte a una che odia i soprammobili!
Così l'ho terminato stamattina.
La parte finale del libro, che non riesce a tornare all'intrigante bellezza della parte iniziale ma in parte riscatta la ripetitività asfissiante della parte intermedia, tratta il tema del collezionismo: l'autore lo dipinge come una sorta di necessità compulsiva, compensativa di una carenza, un' ossessione quasi al pari di quella amorosa, un volersi vendicare della malvagità del tempo che ci rende mortali e quindi invisibili dando la possibilità a oggetti da noi amati di essere tramandati ai posteri e, nel caso del collezionismo da museo, visibili a tutti.
Ma è un misero riscatto, secondo me.
Questo libro, tuttavia,  non lo cestino, perchè  fa pensare al  rapporto uomo- oggetti.
Io, ad esempio, sono una collezionista pentita. Da piccola, con disperazione di mia madre, collezionavo di tutto e di più: le figurine, i francobolli, le cartoline, le lettere, i miei quaderni, articoli di giornale che mi avevano colpito, cartoncini ferroviari coi buchini,  sassi, perfino le carte delle caramelle (non tutte, solo quelle  offertemi da  una persona a cui tenevo, o quelle luccicanti).
Ora sono passata all'eccesso opposto e butto tutto,  diventando il facile capro espiatorio quando in casa non si trova qualcosa (" l'avrà buttato la mamma") e litigando con mio marito che ha ancora la maglia del milan di quando le maglie erano fatte di maglina e a lui mancava ancora qualche  dente da latte.


Tornando al nostro scrittore turco (bella la descrizione delle contraddizioni della  Istanbul  anni '70), mi coglie il dubbio che il collezionismo  del protagonista non sia altro che feticismo, e non riesco a credere alla frase conclusiva del libro, ("Tutti devono saperlo: ho avuto una vita felice") che  infila un happy end dove un happy end proprio non ci sta.

5 commenti:

  1. I collezionisti si legano al loro passato, non se ne riescono a staccare. Si incollano alla carta veline della loro infanzia, o magari di un periodo felice della loro esistenza e non guardano sufficientemente avanti a loro.
    In un certo qual senso feticismo del proprio io perduto.
    Non ho mai fatto collezione di nulla.
    Ho solo appunti di libri che scriverò o meglio non scriverò mai.
    Io sono acquario e non mi lego al passato che solo nella memoria, anche visiva, ma della mente.
    Ho sempre guardato al futuro futuribile, e continuo a guardarvi ancora, malgrado i continui rovesci della sorte.

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  2. ora sono curioso lo leggerò!
    un saluto

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  3. Lo leggi? Sicuro? Per me, non ti piace.
    E' una storia d'amore ossessivo traaaascinato fino ... fino al finale che non ti dico e fino all'estenuazione del lettore che ti dico.
    Non lo cestino, ma nemmeno lo consiglio.
    Ciao :)

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  4. @ IACOPONIS,
    beato te che guardi sempre avanti!
    Io invece sono sempre lì a girarmi indietro, facendomi venire il torcicollo e sbattendo il muso sui pali della luce.
    Con gli occhiali rotti, poi, hai voglia a scrutare l'orizzonte del futuro!

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  5. E allora levateli sti occhiali del cavolo! Sei più carina senza. Mica li portavi a 22 anni.
    Dai, levati sti occhiali del cavolo!

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