E' il 9 agosto 1978 e il
sole è alto e crudele.
La terra arsa, la vegetazione sofferente, la ragazza cerca nella campagna deserta la piccola borsetta contenente
i propri documenti.
Si
è accorta della sua scomparsa solo al
mattino. Quante ore ha dormito? Non porta mai orologio, ma come sempre è stata svegliata dalla luce
che raggiunge il campeggio, dal calore del sole che riempie la tenda di soffocante
odore di plastica e dai passi dei campeggiatori che vanno e
vengono dai bagni.
E’
la vita che torna, fregandosene di lei.
Si
alza senza indugio, per non dar modo ai pensieri di affacciarsi alla mente, vestendosi in fretta con ciò che solo poche ore prima ha gettato
in un angolo: jeans e camicia azzurra.
Gli
amici rimasti al campeggio dormiranno fino a tardi, gli altri sono andati proprio
ieri alle Tremiti col proposito di fermarsi sull’isola
per una notte, dormendo in
spiaggia.
Meglio
così: nessuno la cercherà, nessuno le chiederà spiegazioni, se ne starà per
conto suo e passerà la giornata alla ricerca di ciò che ha perso.
Sveglia
sua sorella, le chiede di accompagnarla e si
incamminano senza parlare lungo il ciglio della strada che porta da
Vieste a Peschici.
Con
la luce del sole sembra così diversa da
quella che poche ore prima ha percorso in auto all’andata e a piedi al ritorno.
All’ultimo momento, dopo essersi vestita nella tenda, ha cambiato la camicia della
sera e messo una maglietta pulita, perché sua sorella le ha fatto notare due
macchie all’altezza del seno: impronte scure
che sembrano zampe di cane.
La
camicia l’avrebbe lavata e tutto sarebbe tornato come prima. Forse.
Raggiunta
la strada sterrata che si immette nella
campagna, non è necessario inoltrarsi
molto per vederla: eccola lì, ai bordi del sentiero, in bella vista: un’infantile tracolla che Un Ragazzo aveva
deriso, quella notte, definendola un tipico
accessorio di sinistra portato da una tipica compagna.
Alla
vista della tracolla tira un sospiro di sollievo: non sarà costretta ad andare dai carabinieri per denunciare la perdita dei documenti, non dovrà
spiegare in quali condizioni li ha persi.
E’
sicura che sua sorella manterrà il segreto come solo una sorella può fare.
Ora
che è lì, però, il trailer di ciò che è successo entra prepotente nei pensieri,
come il ritorno di un’onda anomala.
E’
uscita in compagnia, la sera prima, come ogni sera da quando è in vacanza con un
gruppo variegato e sconclusionato di amici
e amiche. Il centro del paese è distante qualche chilometro dal campeggio, e
non potendo usare l’auto a causa del razionamento della benzina, ogni sera a
Vieste ci arrivano in autostop, una
necessità che è diventata anche un momento di divertimento.
Dopo
aver ringraziato il signore silenzioso -quasi cupo- che ha offerto loro un
passaggio, una volta giunti in piazzetta si dividono, perché lei e sua sorella hanno appuntamento con i due Folignesi conosciuti il giorno prima.
Così
La Ragazza trascorre la serata con Un Ragazzo: alto, capelli neri ricciuti, occhi scuri illuminati da raggi di innocenza. E’
questa, la cosa che più le piace di lui. Ha perso di vista sua sorella, che si è allontanata con l’altro tipo, chissà
poi come si chiama, ancora più carino del
Ragazzo ma con una faccia da schiaffi.
Dopo
aver chiacchierato sulla solita panchina della piazza di Vieste, i due raggiungono la spiaggia dove lui le offre da bere in
un bar deserto. Una piacevole sensazione di libertà accompagna la scivolata di
una vodka lemon ghiacciata nello stomaco
vuoto.
Allora
è questo, diventare grandi: avere sedici
anni, andare in vacanza senza genitori, fare campeggio con gli amici, incontrare un ragazzo bello e
sconosciuto, chiedersi se sarà lui il primo ragazzo che bacerà, bere una vodka trasparente come il ghiaccio e
ghiacciata come un iceberg.
Buona la vodka, non l’aveva mai assaggiata prima.
Buona la vodka, non l’aveva mai assaggiata prima.
Quante
prime volte al gusto di eccitazione bisogna bere per diventare grandi?
Dopo
la vodka tornano verso la spiaggia, e dove sennò. Un Ragazzo è tenero e quando
scopre che lei non ha mai baciato nessuno le promette: “Ti imparerò
a baciare” . Sì, dice imparerò al posto di insegnerò. Forse a Foligno,
dove abita, il significato dei due verbi è invertito.
Oltre
a sapere cos’è un bacio lui sa tante altre
cose più di lei, perché è grande, quasi un uomo.
Al
momento di rientrare, la macchina di
chissà quale amico non è più disponibile, così la soluzione dell’autostop appare
inevitabile.
Lo
fanno insieme, per scoraggiare eventuali malintenzionati, vista l’ora notturna.
Quando la Ragazza si accorge che l’auto
che si ferma è la stessa del passaggio
all’andata, rassicura Un Ragazzo, che le stampa un bacio sulla fronte, la fa
salire, le dice ci vediamo domani e le chiude
la portiera della 127 color verde oliva.
Il
signore alla guida ha un viso schiacciato più o meno dello stesso colore della sua auto,
e porta un foulard al collo. La Ragazza non gli dà confidenza –non si sa mai- e poi quel tipo era stato di poche parole
anche all’andata. Così lei può perdersi a riassaporare i particolari della
serata appena trascorsa, mentre i pochi chilometri del passaggio si consumano
in un istante.
Un
istante che diventa attimo di panico nel
momento in cui, giunto al campeggio dove lei gli chiede di lasciarla, l’autista
accelera.
La Ragazza gli intima di farla scendere, lui risponde che
c’è una deviazione, più avanti, ma a
cosa serve la deviazione, se bastava
accostare a destra?
La Ragazza annusa il
pericolo ma è già in gabbia, una gabbia dalla quale vuole fuggire e cerca di
farlo azionando il freno a mano e tentando di aprire la portiera.
Stà ferma che ti ci porto, dice lui, guidando con una mano e bloccandola
con l’altra. La Ragazza si divincola, lo
implora di lasciarla scendere, ma l’auto si è già immessa in una stradina
secondaria che si addentra nella campagna.
Lo sterrato costringe l’autista a
rallentare la velocità, così finalmente lei
riesce ad aprire la portiera e buttarsi
fuori. Ma fuori c’è solo buio e terra e terrore, e una voce sconosciuta (la sua?) che grida
“mamma!”, come se fosse piccola e stesse facendo un incubo.
Ma la mamma non può
sentirla, è a mille chilometri di
distanza, e davanti a sé c’è solo faccia
d’ oliva, allora si rivolge a lui, gli chiede se non ha una figlia, gli urla di
pensare a sua figlia, prima di morire di terrore mentre viene scaraventata a
terra e schiacciata dalla mole dell’aggressore.
E’
immobilizzata nel corpo e nel pensiero, solo l’istinto di sopravvivenza è
rimasto, una difesa all’ultimo sangue che le fa tirar fuori unghie e denti.
Faccia d’oliva si rialza con uno scatto di rabbia. Cosa mi hai fatto? Grida
toccandosi il labbro inferiore aperto in due e poi guardandosi le mani sporche di sangue. Guarda cosa mi hai fatto!
La
ragazza scappa. La strada è vicina, ci si butta in mezzo, è una curva, si sbraccia per chieder aiuto, morire
investita è niente rispetto al terrore di ricadere nella morsa del maniaco.
Mentre due o tre macchine la schivano e procedono il loro viaggio, la 127 si rimette
in carreggiata svoltando dalla parte opposta alla sua.
La
ragazza non si sente ancora fuori pericolo – in qualsiasi momento lui potrebbe
cambiare idea, tornare indietro e aggredirla di nuovo, stavolta con maggiore
violenza, così continua a correre fino a quando non ha più fiato, ma questa
volta tenendosi al margine della strada. Sembra che di macchine, per ora, non
ne passino più, ma poi il silenzio viene
interrotto da un rumore di schiamazzi. L’istinto si riattizza, in allerta,
pronto a difendersi, un’altra volta. Dietro la curva sta arrivando, a piedi, un
gruppo di ragazzi.
Un
gruppo. Di ragazzi. Maschi. Tutti maschi. Che quando si accorgono della sua
presenza si zittiscono di colpo.
La
Ragazza non sa se questo loro zittirsi sia foriero di pericolo o semplicemente
segnale di sorpresa, è indecisa se
chiedere loro aiuto o temerli, ma questo
saranno loro a deciderlo. Mentre la superano decide di tenere la testa bassa,
senza guardarli.
I ragazzi proseguono
per la loro strada, sempre in silenzio, questo significa che sono innocui e quindi decide di richiamarli: scusate, sapete
quanto manca al camping Pineta? Non lo sanno, non ci hanno fatto caso. Forse
uno, due chilometri, ma cosa fai in giro
da sola a quest’ora? Cosa ti è successo? Hai bisogno di aiuto?
La Ragazza fa una brevissima sintesi: uno stronzo ha
tentato di violentarmi e io gli ho staccato il labbro. Ripensando al labbro aperto
in due si mette a ridere, in uno sfogo isterico che di nuovo zittisce i suoi
interlocutori. Crederanno di avere a che fare con una pazza, pensa lei, ma la
sola cosa che le importa ora è arrivare al maledetto campeggio.
Ti accompagniamo, le propongono.
Camminano in silenzio, tutti in silenzio, ancora in
silenzio, questa volta è però un silenzio giusto. All’entrata del camping
pineta la Ragazza li saluta li ringrazia entra nella tenda si toglie i vestiti scivola
nel sacco a pelo e aspetta il ritorno di sua sorella.
Meno male, solo un brutto ricordo. Ad un certo punto ho temuto il peggio.
RispondiEliminaCaro Guido, chiamarlo "solo un brutto ricordo" è troppo soft. Dà un'idea sbagliata, del tipo che puoi anche lasciarlo lì, in un angolo, e dimenticartene o ricordartene a piacimento, come se tu fossi padrona di esso e non il contrario.
EliminaNon so se sono stata chiara.
... pensando alla cicatrice che lascia per sempre un'esperienza del genere, che pure è finita bene ... provo, ma non riesco, a pensare agli effetti incancellabili nei casi non accompagnati dallo stesso esito positivo...
RispondiEliminaPiù che cicatrici le chiamerei ferite aperte, sprovviste di piastrine cicatrizzanti.
EliminaPer il resto concordo con te, ci sono esperienze che non si possono comprendere se non si provano sulla propria pelle.
Ciao, volevo dirti che ho avuto problemi a leggere il testo, mi è parso un muro di parole ti consiglio di rimuovere il corsivo.
RispondiEliminaPer il resto ottime frasi, qualcuna l'ho anche scritta nella mia agenda.
Ciao
Mi spiace, provo a cambiare carattere.
EliminaGrazie per l'apprezzamento, copia pure, rispettando il copyright.
Che roba è il taxi di Caserta?
Racconto avvincente e scritto bene. Solo un racconto?
RispondiEliminaNo, purtroppo no. E' un brutto squarcio di vita.
EliminaChe brutta, orribile storia. Ho provato angoscia e rabbia.
RispondiEliminaComunque, da sempre sono per il disarmo chirurgico .
Questo non impedisce il primo reato ma sicuramente previene tutti quelli successivi: non si guarisce dall'essere stupratori, neppure dopo la castrazione chimica (moltissimi stupratori sono tornati a stuprare dopo la sospensione, per fine pena o per altre ragioni, della castrazione chimica).
Nel caso sia autobiografico non posso che complimentarmi per la tua difesa, Silvia.
Quella è stata solo fortuna.
RispondiEliminaSe la lettura di questa brutta storia ti ha sollevato emozioni significa che l'autrice è stata brava a scriverla. ;)
Non credo alla castrazione nè chirurgica nè chimica perchè più che un problema ormonale credo si tratti di un problema mentale.
Non credo alla castrazione ma -bada bene- neppure alla redenzione.
Mi basta un giusto castigo. Giusto e certo.
Se mai ti dovesse ricapitare ... ricordati : fingi di starci per paura e mentre lui già pregusta la violenza che ti farà, sferragli all' improvviso un gran calcio ai coglioni e vedrai ... il maniaco si piegherà ad angolo acuto ( e sarà lui a gridare "oh mammamia ... oh che dolore !" ) e Tu con tutta calma te ne potrai andar via senza correre !
RispondiEliminaAhahah!
RispondiEliminaMi sembra che la fai un TANTINO troppo facile, per san pancrazio!
Pe' sanpancrazzjo ??? Nooono, @Sì ... pe' SANTA EUPALLE, a santa che protegge 'e palle de li manjaci ... edè a 'sta santa che se rivorgheno 'sti bastardi ner mentre, dopo la zampata a li cojoni ricevuta da la vittima, stanno a strillà ner bujo de la notte "Ohi mammamiabbella .... ohi che dolòr .... o povere pallette mje" !
EliminaElimina
ahahaha!!
Eliminadai cavaliere non esistono santi - tantomeno sante- che proteggono i maniaci!
Ahahahah!! Esistono ... esistono my friend, altrochè se esistono, vallo a domandare alle palle frantumate dal calcio ai coglioni inferto dalle vittime "fintocedenti" alla violenza d' un maniaco e poi all' improvviso scalcianti in modo da colpirlo proprio là dove non batte il sole !
EliminaMa ora amica cara, è tempo che ti dica che questo tuo post è bellissimo seppur elaborato da quella circostanza che ti ferì non poco ed a cui scampasti per un pelo ! Eh ... non v' è dubbio che sai scrivere assai bene @Silvia, e questa tua indubbia dote, penso, ti aiuti tantissimo a non smarrire mai nè te stessa, nè la voglia, non ostante ogni infamia, a veder bello il mondo e la miserabile umanità che lo attraversa ! :***
Grazie!
EliminaScrivere è sempre stata la mia ancora, il mio rifugio, la mia ultima spiaggia, l'illusione di essere ascoltata prima che capita.
Dovrei farlo più regolarmente.
Quanto al resto, continuo a fare come san tommaso.
Tu conosci qualche malcapitata che se l'è cavata cosi?
Io no, e nemmeno ne ho sentito dire.
Che brutta avventura!
RispondiEliminaPuoi dirlo forte!
Eliminaquello che mi piace di questo racconto è quel viaggiare sul crinale stretto tra adolescenza e maturità, la prima libertà, quel misto di innocenza e desiderio, il sentirsi crescere quasi di minuto in minuto, la sventatezza di accettare, anzi cercare, da sola di notte il passaggio di uno sconosciuto, la ferita della violenza che seppur evitata segna in negativo un passaggio che avresti voluto ricordare in altro modo.
RispondiEliminamassimolegnani (orearovescio w.p.)
Quel che mi piace del tuo commento è quell'averci azzeccato, in tutto e per tutto. Bravo, potresti fare lo strizzacervelli.
RispondiEliminagrazie! non "strizzo" ma leggo con emozione :)
Eliminaml
Ah bene allora sei IL lettore perfetto.
EliminaCiao e grazie del contributo prezioso.
... in questi giorni non riesco a staccarmi da questa canzone, chissà perchè!
RispondiEliminaqualche anima buona sa suggerirmi come postare direttamente un video, al posto del link?
RispondiEliminaProva l'ottavo pulsante in alto su post, da desta,se sei in html non si vede.
RispondiEliminaEhhhh???
EliminaNon so di cosa parli ma grazie, grazie mille lo stesso!
Hai fatto bene a raccontare questa storia, la violenza deve avere voce, no n essere protetta dal silenzio.
RispondiEliminaAvrei dovuto denunciare, invece di scriverne trent'anni dopo e pubblicare trentacinque anni dopo!
RispondiEliminaDici bene: avresti dovuto denunciare l'accaduto. Chissà quante donne subiscono e per vergogna non denunciano. E' sbagliato!
EliminaSi certo.
RispondiEliminaEppure, più spesso di quanto si pensi,capita un processo mentale assurdo: la vittima si sente in colpa!
Ci sarå un motivo? Bisognerebbe chiederlo a un qualche strizzacervelli.
un racconto con una fortissima personalità
RispondiEliminaGrazie!!
RispondiEliminahai reagito, questo è ciò che fa di te una persona che non accetta soprusi, una donna con carattere: il resto è acqua passata, passata l'avventatezza e l'ingenuità della ragazzina, che oggi ha un bagaglio di esperienze preziose.
RispondiEliminaMAH! Non penso di potermi arrogare alcun merito al riguardo! Credo infatti che qualsiasi persona, d'istinto, reagisca ad un'aggressione, è un agito naturale. Io ho solo avuto la "fortuna" di non imbattermi in un violento vero e proprio, e ne ringrazio il cielo.
RispondiEliminaQuanto all'acqua passata, ti assicuro che certe acque non passano mai. A volte rimangono in profondità, anzi si nascondono, e tu ti illudi che si siano dissolte.
Poi succede un evento che ha delle analogie con quest'"acqua passata" e torna su tutto.
Bel racconto (orribile) Silvia, un attimo e potrebbe toccare a chiunque, 1978 inizio di agosto ero vicino a Peschici in campeggio anche io arrivata in treno con lo zaino in spalla dall'estremo nord della penisola. Appaena diventata maggiorenne giravo in autostp tra le cittadine della costa. Il passaggio sbagliato lo hai preso tu, sarebbe potuto toccare a me. Un abbraccio solidale.
RispondiEliminaPensa un po' te!
RispondiEliminaEravamo vicine!
Magari nello stesso camping!
Ricordo che un giorno ci fu una specie di tifone che divelse parecchie tende.
Hai memoria di ciò?
E del razionamento della benzina?
In verità non ricordo se il campeggio dov'ero io si chiamasse Pineta.
RispondiEliminaDovrei spulciare vecchi diari, cosa che farò quando mi romperò il femore.