Ho dormito tutta notte come un sasso. Sentivo gli infermieri entrare e uscire dalla camera ma non mi svegliavo, si vede che avevo troppo sonno arretrato. Il primo pensiero che mi è apparso tra le brume del dormiveglia riguardava una sciocchezza che mi hanno detto le mie sorelle ieri pomeriggio, sedute su questo mio letto da caregiver. D'istinto ho pensato: "Adesso lo riferisco a Gra". Era una cosa da nulla, solo per ridere un po' insieme, per dare un po' di leggerezza a tutto questo peso che ci stiamo portando addosso da 2 anni. Ma subito si è delineato, fulminante, il secondo pensiero: lui non mi può sentire e soprattutto non potrò mai più dirgli niente.
Sei sdraiato nel letto accanto al mio, sedato, con la morfina per il dolore, il midazolam come calmante e l' aloperidolo per gestire il delirium. Sei nella stessa posizione da ieri, con il capo reclinato sul cuscino e le braccia distese lungo il tronco. Ho provato a toccarti, non reagisci agli stimoli tattili. Ho provato a muoverti la testa con delicatezza cercando una posizione più comoda, ma è ricaduta di piombo. Ti ho lasciato stare.
Ho chiesto agli infermieri se sei incosciente e mi hanno risposto di no, che se ti avessero tolto le flebo ti saresti svegliato, ma non ci credo tanto. Sei troppo immobile, sembri un morto, quel morto che tra poco sarai quando smetterai di respirare. Mi viene da correggere "quando finalmente cesserai di respirare", per porre fine alle sofferenze e non vederti più dibatterti nel letto come un animale in gabbia, e sentirti delirare. Ma è un momento che desidero e temo nello stesso tempo, perché da quel momento non potrò più occuparmi di te, e di quel tuo corpo stremato dalla malattia.
Sono stati due anni difficilissimi durante i quali ho cercato di mantenere la promessa che ci siamo fatti il 22 settembre di tanti anni fa, in una mattina di sole e di cielo azzurro, "Nella salute e nella malattia". È stato questo il mio faro. Spero di esserci riuscita.
Il dolore, il rimpianto più grande è la consapevolezza che non potrai occuparti dei tuoi nipotini, ancora così piccoli e bisognosi di te, soprattutto la piccola Nene.
Saresti stato un super-nonno, come da subito ti hanno chiamato i figli. Avresti trasmesso loro il tuo amore verso la natura, avresti insegnato loro i canti e i nomi degli uccelli, avresti letto libri raccontato storie e riparato i giochi rotti, come già facevi anche se malato. Li amavi così tanto, cercavi di occuparti di loro anche quando stavi male, quando potevi farlo solo sdraiato sul divano e, nelle ultime settimane, quando anche solo un piccolo sforzo bastava a toglierti il respiro.
Hai amato così tanto la tua famiglia, i figli hanno sempre potuto contare su di te. Ti chiamavano "vecchia roccia", una roccia scaldata dal calore del tuo amore e della tua generosità.
Hai affrontato la malattia con grande forza, coraggio e dignità, e ti sei affidato alle mie cure da caregiver con fiducia incondizionata.
Ieri, in un raro momento di lucidità, ti ho chiesto se mi volevi bene, e tu mi hai risposto : "Come potrei non volertene".
Il tempo non lenirà nulla, mi mancherai ogni giorno di più. Grazie del tuo amore, che è stato - e spero sarà -la mia coperta di linus, fino alla fine dei miei giorni.


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