mercoledì 26 agosto 2009

il gran campanaro


Che mal di piedi. Mi sono abrasata tre dita … Dopo la doccia vi ho spalmato della crema di calendula. Non ho portato le infradito, e sono costretta a mettere quelle brutte ciabatte di gomma chiuse e rigide.
Stamattina abbiamo preso l’ovovia, come da programma. Il cielo, dopo il brutto tempo di ieri, si è sbarazzato di ogni più piccola nuvola. There aren’t any clouds (IN THE SKY). Il biglietto della berghbannen è scontato per la “festa am berg” (festa della montagna): 12 euro invece che 19 ( lo sapevamo già, per quello abbiamo programmato questa gita oggi)
Dalla stazione a monte , l’Adler Loungue, (o Cimarossa?) (o è la stessa cosa?) a 2600 metri, si ha una visuale a 360 gradi di tutte le cime sopra i tremila e dei due ghiacciai più alti dell’Austria, il Grőβglockner (gran campanaro) e il Gross … qualcos’altro. Sulla terrazza del ristorante stanno preparando gli strumenti per il concerto della banda, e sui tavoli aggiunti all’ultimo momento nel prato noto la lista dei prezzi bene in vista: una birra da 0,5 litri costa 3 euro, una coca cola 2… in Italia, prezzi così modici li troviamo forse solo al circolo delle acli. Ieri abbiamo mangiato una grigliata di carne per due persone -ma era talmente abbondante che sarebbe bastata per tre - con 30 euro compreso il bere.

Dopo la classica foto di noi due con sfondo ghiacciaio (bravo, quel tipo, ha fatto delle belle inquadrature, alla faccia della diffidenza di G.) parecchie indecisioni (la costruzione della nuova funivia ha sballato le indicazioni dei sentieri sulla cartina) e la consultazione con stranieri per capire cosa c’è scritto su un cartello posto davanti al sentiero (fare finta di niente è molto rischioso: e se ci fosse scritto: attenzione, toro scatenato nei paraggi?) finalmente imbocchiamo un sentiero in costa, credo sia il “panoramaweg”, perché abbiamo il gran campanaro a destra (sempre più vicino) e l’altro ghiacciaio sulla sinistra. Ha chiamato F., in viaggio di ritorno da Viareggio: “Certo che se non vi chiamo io … dove siete?...” “Stiamo camminando su un sentiero tra i due ghiacciai più alti dell’Austria” “Caspita, allora siete belli lontani”
Arrivati a un rifugio scegliamo una nuova meta, a un’ora e trenta di cammino, un certo “Blauspitze”, tanto per non scendere subito. Titubanti per il fatto che è contrassegnato da un puntino nero, che sospetto voglia dire “sentiero alpinistico”, cerco di estorcere informazioni da una tipa, che capisce l’inglese ma mi risponde in tedesco: mi pare di capire che il sentiero è stretto, quindi chiedo, a gesti, se è a rischio vertigini, se è dangerous (parola inglese, francese o tedesca? E vorrà dire quello che credo, cioè pericoloso? Bho!), e lei mi risponde “no, no” con gesti rassicuranti. Mi pare perfino di capire che concluda, in inglese, “allo blauspitze ci vanno tutti”. Ci accingiamo a salire mentre nuvole sfilacciate salgono da valle e ci vengono incontro, raffreddandoci il sudore. Dopo una mezz’ora di salita appare una croce. E’ la stessa che vediamo dal balcone di casa, posta su quello spuntone di roccia talmente irto che non l’avevamo neanche lontanamente considerata come una possibile meta? Non è molto lontana, ora, e la sua vicinanza ci attira, ma il sentiero per arrivarci è esposto, attrezzato con scalini di pietra e chissà quali altre diavolerie da far sudare le mani al solo pensarci. Le persone che lo stanno percorrendo sembrano appoggiare i piedi sulla lama di un coltello. Via, via, non facciamo gli spiritosi, non è roba per noi: G. soffre di vertigini e io non ho equilibrio. Desistiamo, e altri malcapitati con noi. Chissà se la tipa aveva davvero detto che allo Blauspitze ci vanno tutti, o se aveva in mente di eliminare un paio di italiani dalla faccia della terra. Torniamo a Kals a piedi, non abbiamo voglia di prendere l’ovovia anche se il ritorno è compreso nel prezzo. La discesa è molto ripida, sono mille metri di dislivello. Quando il sentiero entra nel bosco G. sente odore di funghi e vi sparisce. Quando fa così ho sempre paura che si perda nel bosco come Pollicino e sto lì a scrutare nel verde fitto fino a che ricompare, questa volta con un bottino sufficiente per la cena di stasera. Fantastichiamo su come mangiarli , incitati dalla fame (abbiamo mangiato solo un panino per pranzo, perché ci eravamo rimpinzati con il fruhstuck)
Ieri ho preparato il sugo coi pomodori dell’orto portati da casa, ormai troppo maturi per essere portati nel “sacco da montagna”, oggi cucino i funghi e infine mangiamo una pasta alla boscaiola che più fresca di così.

martedì 25 agosto 2009

il sacco da montagna

Ieri siamo andati nella valle dove avremmo dovuto trovarci se non avessi sbagliato posto e abbiamo prenotato un appartamento per altri 4 giorni , perché al Gasthof Edelweiss è scaduto il tempo. Mentre tornavamo a St.Jacob, la macchina ha cominciato a fare le bizze. Chissà se ci riporterà a casa prima di fare kaputt, o se ci lascerà a piedi, dovremo chiamare il carro attrezzi e farla riparare nonostante il suo prossimo destino di rottamazione e spendere tutti i soldi che abbiamo cercato di risparmiare.
Mentre la macchina faceva le bizze è scoppiato un temporale di quelli che ringrazi il cielo di non essere in montagna, su un sentiero che diventa scivoloso, con la prospettiva, magari, di dover attraversare quel tale ruscelletto che al mattino aveva l’aria tanto simpatica ma che il temporale può avere trasformato in un ostacolo invalicabile.
La nuova casa si chiama Haus Charlotte ed è una tipica, bellissima casa tirolese, di cemento fino al primo piano, e poi ricoperta di legno fino al tetto. Noi abiteremo lì, sotto il tetto. Adoro le mansarde.
Davanti alla casa c’è un piccolo e lindo parco, un fazzoletto di prato verde delimitato da alberi, panchine e una fontana. Sopra la fontana c’è un sassone e sopra di esso si erge uno spilungone tutto bianco. Ha un buffo cappello in testa, indossa un lungo pastrano, un braccio impugna il fucile ed è abbassato lungo il fianco, mentre l’altro, alzato al cielo, impugna una bomba a mano. (G. sostiene che è una fiaccola). Si chiama Stefan Groder e non so chi sia, forse un patriota? (c’è un pannello che lo spiega, ma io non so il tedesco)
Il nostro appartamento, pulito e funzionale, ha un grande balcone colorato di gerani dal quale si ha la visuale di tutta la valle: davanti a noi c’è un prato a strisce di verdi diversi a seconda dello stato della falciatura, poi dove termina il prato inizia il bosco, infine le catene di montagne come sfondo e … e quel cielo che sarà ogni giorno di un azzurro incredibile (oggi invece è nuvoloso).
Due comodissime sdraio ti invitano a passare la giornata qui, a leggere scrivere e ascoltare la musica, invece che scarpinare. G. , infatti, si è piazzato lì a sbinocolare e fotografare, mentre il temporale incombe.
Io mi sono preparata una tisana, ho messo la tuta e mi sono messa a leggere, anch’io sul balcone, ben protetto da travi maestose, mentre la pioggia scende furiosa.
Finora non sono riuscita a leggere come speravo: forse ero troppo stanca o forse non avevo una postazione comoda per farlo o forse non ho portato il libro giusto. Mentre camminavo, i giorni scorsi, mi è venuta voglia di rileggere “lessico familiare” di Natalia Ginzburg. (era quello, il libro giusto?) Quando racconta delle vacanze che trascorrevano in montagna, scrive che il padre e i fratelli partivano al mattino, “col sacco da montagna sulle spalle
Domani prenderemo la funivia per avvicinarci al Gran Campanaro, la montagna più alta dell’Austria, col suo bel ghiacciaio. Dalla stazione a monte faremo un sentiero panoramico e poi scenderemo, a piedi, al paese, col “sacco da montagna” sulle spalle.

venerdì 21 agosto 2009

“Il cielo è così azzurro, così calmo…”


Scoprire che hai sbagliato a prenotare il Gasthof, scambiando una località per un’altra, e farci una risata.
Rischiare di marcire nelle segrete austriache, come Silvio Pellico, dopo che G. ha causato un corto circuito nell’appartamento, con delle iniziative azzardate.
Ma dopo si recupera:
- Un’escursione a tre laghetti ingentiliti da delicati eriofori, appena sopra c’è una croce, ci andiamo? Chiacchierare con sconosciuti, in cima a questo “horndle”, che forse vuol dire corno, in un misto di italiano-tedesco-inglese, dopo che un fantomatico cameramen ha accettato di farci una foto … “Another one”?
Al ritorno, vedere un gheppio che fa lo spirito santo, una sagoma immobile, come un crocefisso tra le nuvole e il cielo, e poi giù in picchiata, sul prato, ad artigliare l’ignara preda. Solo tre colori, nella foto: bianco, azzurro, verde. Peccato che tutte le foto di questa gita si bruceranno, il giorno dopo. Per quanto tempo, ci chiediamo, rimarranno dentro di noi? E dire che G. ha rischiato di finire in ammollo, per l’autoscatto sul lago, e il cameramen tedesco l’ho visto per un attimo precipitare dall’horndle, mentre indietreggiava a prendere l’inquadratura…
- Una camminata chilometrica lungo il fiume, che senza badare a te se ne va per i fatti suoi, “ in direzione ostinata e contraria” rispetto alla nostra; osservare le cascate pensando al destino definitivo, obbligato e un po’ angosciante di tutta quell’acqua; prolungare la passeggiata e arrivare in un posto dal vago effetto Alaska, non so neanche io perché. Tornare a casa in autostop (grazie, camperisti biellesi) per arrivare in orario a un appuntamento con amici.
- Un’ escursione a un rifugio dal nome impronunciabile e irricordabile con allungamento non previsto per raggiungere un lago 300 metri più su, (ma non avevamo detto che ci fermavamo qui?) nelle cui acque gelate immergere i piedi stanchi, con immediato effetto rigenerante. Seduti su un sasso, nel lago, accorgersi di quanto sia inconsueto vedere nuvole cumulose emergere dal prato, e correre a prendere la macchina fotografica lasciata sulla riva, prima che il sole riappaia e dia un effetto controluce.
- Salite da sudare e discese da far lamentare le ginocchia.
- L’azzurro del cielo è da morire, il verde scuro del bosco rassicurante, o angosciante, a seconda dello stato d’animo del momento, quello più chiaro dei prati, invitante, da sdraiarcisi, e il bianco delle nuvole, da perdercisi dentro. Il cielo colore azzurro incredibile sarà una costante di tutta la vacanza, ricordandomi, ogni giorno, i versi scritti da un poeta nella cella della prigione: “il cielo è così azzurro, così calmo…”
-Scrivere sul balcone vista prato-bosco-montagna, alle sette di mattina, per una improvvisa crisi di astinenza, mentre G. prepara la colazione.
Il primo dei tre obiettivi della vacanza è raggiunto, complice il bel tempo.
Per gli altri, debacle su tutta la linea. “Le mie prigioni” sono tutte nella mia mente.

sabato 15 agosto 2009

Dura, la vita del blogger

Stanotte alle 4 il mio dormire è stato interrotto dal rientro di mio figlio e l’incazzatura che ne è seguita mi ha fatto perdere il sonno. Non so con quale volo pindarico, a un certo punto mi sono messa a pensare al farmaco RU 486 e alle polemiche che ne sono seguite. Da quando mi sono improvvisata blogger , mi capita di trasformare un pensiero che evapora in un pensiero da scrivere, anche nei momenti più impensati. L’incipit del post mi stava venendo bene: “ Giuliano Ferrara si strappa le vesti per la RU 486. Miseria, non è proprio un Bronzo di Riace! Che qualcuno lo rivesta, per favore.”
Divertente , ma un po’ cattivello. Da scartare. Non sopporto i comici che fanno le battute sui difetti fisici delle persone, dato che è una delle poche cose di cui uno non ha colpa. Lo stesso giornalista, però, pratica l’ autoironia (e la cosa gli fa onore) definendo la sua trasmissione su radio 24 “Parliamo con l’elefante”; ragion per cui potrei anche pensare di non censurare, per il momento, la battuta.
Mio marito, che ha un radar che lo sveglia quando la moglie non dorme, mi pone la fatidica domanda: “A cosa stai pensando?...” “… A Giuliano Ferrara” gli rispondo prontamente.
Peccato che l’effetto esilarante della risposta sia vanificato dal fatto che lui non colleghi subito il nome alla persona, anzi lo scambi per Giuseppe Cruciani, addirittura.
Vabbè, perché vi ho detto questa scemenza? Perchè ho pensato che quando una blogger arriva al punto di pensare al Ferrara, di notte, vuol dire che è esaurita.
Spero, in montagna, di trascorrere la giornata camminando fino a indolenzire i muscoli delle gambe, spero di riuscire ad avere pensieri leggeri e positivi, spero di dimenticare l’amato-odiato blog. La sera dopo una doccia togli-fatica voglio dedicarmi a una buona lettura e per finire sprofondare in un sonno senza idee, come quello di un bambino felice che ha giocato tutto il giorno. Spero di sognare Heidi, Peter, Nebbia, Fiocco di Neve e, al massimo, il buon vecchio nonno.

(il titolo del post l’ho copiato dal titolo di un libro di un autore che amo molto, David Lodge (“dura, la vita dello scrittore”)

giovedì 13 agosto 2009

inizia il conto alla rovescia

Meno uno, infatti.
Il primo giorno di ferie mi sono svegliata presto, verso le sei e trenta, ma sono rimasta a letto a dormivegliare fino alle otto. Colazione, poi in edicola, a comprare il giornale per papà, e poi a portarglielo. Mamma sta cucinando per un battaglione, per festeggiare il compleanno del suo primo nipote. Dopo averla minacciata che se cucina altra roba guai a lei, vado all’ufficio postale, ma senza documenti, perché non mi sono ricordata di riprendere, da mamma, la borsa dimenticata ieri mattina. Ho in mano un cartellino giallo di convocazione e mi dicono di aspettare. Chiedo se per caso servono i documenti, nel qual caso andrei a prenderli . Poco dopo mi informano che occorre anche la presenza del marito, e il tutto viene rimandato a sabato. Torno a casa, chiamo mia sorella che mi aveva cercata, stendo i panni anche se è nuvoloso, infine decido di andare dal medico a “ripetere” le ricette per papà, mamma, marito.
Mi incammino a piedi, senza ombrello nonostante il nuvolo sia diventato minaccioso. Dopo cento metri, comincia a piovigginare, ma non ho nessuna voglia di pentirmi e tornare indietro a prendere l’ombrello: quando si prende una decisione, bisogna portarla a termine, no? Costi quel che costi. Le gocce sono incerte e si fermano, concedendomi il vantaggio che si dà ai perdenti. Affretto il passo, ma poco prima del traguardo la pioggia mi annulla lo sconto e in men che non si dica grosse gocce belle decise mi bagnano i capelli, il terriccio bagnato della strada sconnessa mi entra dai sandali e le bermuda di jeans si riempiono di macchie scure a pois, con immediato e terribile effetto ventosa. Al diavolo la teoria del costi quel che costi, la prossima volta prendi l’ombrello (sussurra una vocina)
Entro nell’ambulatorio bagnata quasi fradicia, affrontando gli sguardi incuriositi dei numerosi pazienti con un inutile quanto necessario: “Piove!”. Con tutta ‘sta gente, farò in tempo ad asciugare.
Mi immergo nella lettura del bellissimo libro portatomi appresso in uno zainetto (“Che tu sia per me il coltello”), ma le chiacchiere non mi permettono di concentrarmi. La mia vicina di sedia sta parlando di controlli e assistenti sociali con la dirimpettaia, e conclude: “Io voglio adottare un figlio, non lo voglio comprare!” (… maccheccavolo….)
Non faccio in tempo a rimettermi dallo choc, che la prima paziente uscita dallo studio si mette a raccontare che le avevano dato sei mesi di vita e invece è ancora qui, e racconta del suo coma, di come è bello di là, del suo rapporto con Dio, di come è cambiata dopo il cancro … Santo cielo! Cosa succede stamattina?
Di solito in questi posti si sente parlare di cose molto più banali, non certo di bambini venduti ed esperienze estreme … Come riprendere la lettura? Anche il PC del medico fa le sue bizze, è lento come una lumaca, ma a mezzogiorno finalmente posso raggiungere casa di mamma. Mi cambio per togliermi l’umidità (ma di chi è questa maglietta? Non mi entra nemmeno un braccio) e pranziamo. Nel frattempo sono arrivati i miei figli e mia sorella, con la famiglia. Mi spupazzo il nipotino nato da poco: un tipino a posto, per niente frignoso, di poche pretese: un po’ di latte della mamma, qualche coccolina e si addormenta nel bel mezzo di una cagnara indescrivibile (sono arrivati altri cuginetti) .
Il festeggiato accende 9 candeline rosa (poco più che mozziconi, reduci di tutti compleanni di tutti i nipoti dei nonni, rigorosamente festeggiati in questo tinello) sulla crostata, anche se compie 21 anni ed è maschio, cantiamo tanti auguri a te, le piccoline soffiano, poi si fa il bis di candele e canzoncina perché deve soffiare anche il festeggiato. Sgrido mio papà perché mangia in continuazione, facciamo una provata di pressione collettiva, offriamo la torta e i pasticcini alla vicina di casa con badante, i bambini escono in giardino e vogliono convincermi a giocare a “ce l’hai” , ma mio figlio mi avverte: “ TU non sai COME È il loro “ce l’hai”
Mi salvo con un provvidenziale: “Servo il caffè e poi arrivo”, naturalmente poi non mantengo la promessa.
Se ne saranno accorti?

Garzoncello scherzoso,
cotesta età fiorita
è come un giorno d'allegrezza pieno,
giorno chiaro, sereno,
che precorre alla festa di tua vita.
Godi, fanciullo mio; stato soave,
stagion lieta è cotesta.
Altro dirti non vo'; ma la tua festa
ch'anco tardi a venir non ti sia grave.

(è il finale della poesia di ieri, il sabato del villaggio) (Impareggiabile Leopardi)

martedì 11 agosto 2009

Il più gradito giorno

Forse il giorno più bello di tutte le ferie è l’ultimo giorno di lavoro.
Ricordate la poesia “ Il sabato del villaggio”?

Questo di sette è il più gradito giorno,
pien di speme e di gioia:
diman tristezza e noia
recheran l'ore, ed al travaglio usato
ciascuno in suo pensier farà ritorno.


Leopardi sosteneva l’affascinante tesi che il sabato fosse meglio della domenica, perché la speranza dell’attesa è meglio di ciò che ci aspetta poi nella realtà. La gioia della domenica, nella quale tanto si è sperato, viene in realtà rovinata dal pensiero dell’indomani.

L’ultimo giorno di lavoro, venerdì 31 luglio, dopo aver sbrigato alcune incombenze ho messo in ordine gli scaffali, buttato quaderni vecchi, fogli inutili, fermagli arrugginiti, gomme morsicchiate, pezzettini di gesso inservibili; ho spolverato, pulito le mensole, lavato e asciugato contenitori: ho cercato di fare cose che mi lasciassero libera la mente, perché l’ultimo giorno di lavoro lo si trascorre con la testa già lontana, salutando i colleghi, chiedendo loro dove trascorreranno le vacanze: insomma, cazzeggiando, se possibile, il più possibile. Al momento della timbratura in uscita, ci si saluta come se non ci si dovesse vedere per chissà quanto tempo.
… E invece, col primo giorno di ferie comincia il conto alla rovescia. E’ il conto alla rovescia più bastardo che ci sia, va veloce come un razzo .



(il mio prof di italiano, il grande Salvatore Giujusa, la declamava 100 volte meglio )

lunedì 10 agosto 2009

Che noia



Ho riletto l'ultimo post e mi è venuta la nausea. Basta parlare di politica, basta. Non ne posso più, forse negli ultimi tempi le ho dato troppa attenzione. Per fortuna lunedì prossimo parto, vado in montagna. Ho bisogno di uscire da questa noia. Ho bisogno di aria pulita, che mi ossigeni il cervello. Il fatto di andare in un paese dove non capisco un’acca della lingua, poi, mi piace troppo. Non sei costretta a fare conversazione con nessuno. Non ti arriva all’orecchio nessuna stupidaggine.Parli solo quando ce n’è effettivo bisogno, poche parole con quel poco inglese che so. Spero non arrivino nemmeno i canali televisivi italiani. Una bella disintossicazione è proprio quello che ci vuole. G. mi ha regalato un notebook e lo porterò, ma senza la chiavetta internet mangiasoldi a tradimento. Il blog è quindi sospeso da lunedi 17 agosto fino al terribile 31 agosto. Durante questa settimana posterò qualcosa di diverso. Cronache di vita quotidiana, poesia, attimi fuggenti, musica, non so. Vi va?

domenica 9 agosto 2009



Home, un film per salvare il nostro pianeta



Negli ultimi cinquant'anni l’uomo ha modificato gli ecosistemi della Terra più rapidamente e profondamente, che in tutta la storia dell’umanità. Prima della fine del secolo, questo sfruttamento smisurato avrà esaurito la quasi totalità delle risorse naturali del pianeta! L'umanità non ha più di 10 anni per invertire la rotta. E’ per lanciare un grido d’allarme e sensibilizzare ognuno di noi, che esce oggi 5 giugno, nella Giornata mondiale dell’ambiente, il film Home di Yann Arthus-Bertrand, prodotto dal noto regista Luc Besson. Il film esce contemporaneamente in tutto il mondo, e su tutti i media: cinema, televisione, Internet, Dvd. Un fatto senza precedente nella storia del cinema. Dopo il successo mondiale del suo libro “La terre vue du ciel” venduto a 3,5 milioni di esemplari, il noto fotografo francese ha girato dall’elicottero, splendidi immagini del nostro pianeta: 54 paesi, 120 siti e 500 ore di girato. I fiumi africani, le cascate amazzoniche, le barriere coralline, contrastano con i grattacieli delle grandi città, e le zone più popolate e povere del pianeta come i bidonville del terzo mondo. La singolarità del film risiede prima di tutto nella sua diffusione massiccia istantanea, e nel fatto che è distribuito gratuitamente, senza copyright. “I profitti di questo film non si conteranno in milioni di dollari, ma in milioni di spettatori” spiega Arthus Bertrand. François-Henri Pinault presidente del gruppo del lusso parigino PPR, che ha sponsorizzato l’operazione, sostiene che “La natura umana non è disposta a rinunciare al suo benessere. Bisogna consumare diversamente, non consumare di meno”. Da vedere il trailer sopra.

Pubblicato da Christian a 21:08 0 commenti


TRATTO DAL SITO FUTURIX

sabato 8 agosto 2009

CHI SARA’ MAI?

E’ un soggetto ambizioso, può ottenere risultati brillanti. Ha un sentimento grandioso di sé, si considera unico e ha un gran bisogno di essere amato e ammirato dagli altri. Si considera speciale, meritevole di ricevere un trattamento diverso e ogni critica appare a lui insopportabile (altre volte invece è del tutto indifferente ai giudizi).
La sua vita affettiva è superficiale e i rapporti che instaura sono fragili. E’incapace di provare empatia, i suoi slanci sono superficiali e suonano falsi. Nei rapporti interpersonali è manipolatore e tende a sfruttare.
E’ invidioso e svaluta gli altri e le loro realizzazioni; il bisogno di approvazione e ammirazione da parte del prossimo è talmente importante da rendere fragile la sua autostima e da portarlo facilmente alla depressione: ogni minima ferita narcisistica è causa di forte stress che affronta con risposte affettive inadeguate (depressione e/o aggressività).
E’ un soggetto che affronta con particolari angosce l’invecchiamento.

Chi sarà mai? No, non è lui. Cosa andate a pensare.
E’ la descrizione di un disturbo della personalità: il disturbo narcisistico. Ma il peggio è il decorso (tende alla cronicizzazione) e la prognosi (sono consigliate le psicoterapie dinamiche anche se i risultati sono davvero modesti)

Miseria! Se il Chi sarà mai cronicizza, e non ci sono cure, che ne sarà di noi? Ci verrà qualche disturbo della personalità anche a noi, vedrete.
Attacchi di panico al momento del tg? La fobia specifica? Disturbi del sonno? Quello schizoide, caratterizzato dal ritiro sociale? La depressione maggiore?
E pensare che non avremo nemmeno i soldi per andare dallo psichiatra!!

venerdì 7 agosto 2009

Chiediamo solo un pò di rispetto

Uff, che iattura, la Lega. Adesso vuole che vicino al tricolore sventolino 20 bandiere regionali. Mi chiedo se ci sia davvero qualcuno a cui frega qualcosa di queste cose.

La Lega è come lo “scassapalle” che c’è in ogni classe: se non dice la sua scemenza e non fa la sua cazzata quotidiana, ha paura di perdere il titolo di buffone della classe.

Ma anche dietro a una cazzata c’è un perché, e io ho formulato due ipotesi:

1. Tattica diversiva: La lega vuole distrarre l’attenzione degli italiani e dei loro elettori dal fiume di soldi che il governo si sta apprestando a elargire a piene mani al Sud. Vi rendete conto: dopo anni di Roma ladrona , partito di protesta e bla bla vari , sono pronti a riversare denaro frutto dei sacrifici di cittadini onesti nel mare dello spreco di cui ogni giorno si sente parlare, con scandali di cui nessuno rende mai conto.

2. Proposta risultante da cazzeggiamento estivo pre-ferie: sono gli ultimi giorni di lavoro per i parlamentari, che volete, mica si può tirare fuori dal cilindro proposte di legge per affrontare un settembre di crisi economica. Mica si può mandare in vacanza gli italiani con certe preoccupazioni. Meglio parlare d’altro. Secondo me, a questo scopo i nostri governanti hanno approvato alla chetichella un decreto legge d’urgenza per non fare uscire il sei a quella lotteria del cavolo. Così durante questo agosto i telegiornali potranno parlare del sei e gli italiani potranno distrarsi parlando di cosa farebbero in caso di vincita. (La lotteria è il nuovo oppio dei popoli?)

Quando volete cazzeggiare, cari parlamentari, fatelo: non dovete chiedere il permesso a nessuno, tra l’altro. Potete andare alla buvette, leggere il giornale, chiacchierare, andare in bagno, usare il telefonino.
Fate tutto quello che volete, ma risparmiateci certe proposte di legge, abbiate un po’ di rispetto per la nostra dignità di cittadini.

giovedì 6 agosto 2009

Un detenuto prodigio

« Da cinque anni torna a casa la sera, dalla moglie e dalla figlia, e di giorno lavora. È un uomo assolutamente tranquillo che fa il marito, il padre e il lavoratore nell’associazione di volontariato "Nessuno tocchi Caino" »
Di chi staranno parlando? Del candidato al Nobel per la pace? Di un personaggio del libro Cuore? Della versione adulta di Pinocchio? E chi è che parla? La fata turchina?
No, sono parole di un avvocato, e il cittadino modello da lui descritto è stato uno dei terroristi più sanguinari nella storia d’Italia, condannato a 8 ergastoli. Una brava persona, direi.
Giuseppe Valerio Fioravanti, detto Giusva, ex bambino prodigio, figlio di papà, a diciotto anni aveva già una fedina penale lunga un chilometro.
A militare sottrae dalla polveriera 144 bombe a mano e viene definito “personalità abnorme” dallo psicologo militare.
A vent’anni spara a Roberto Scialabba, operaio elettricista di 24 anni, mentre è seduto su una panchina, poi lo finisce con un colpo alla testa. E’ il suo primo omicidio, fatto per divertimento, ma poi deve averci preso gusto, perché a breve ne seguono molti altri: un geometra di 24 anni, vittima di uno scambio di persona, un poliziotto di 19 (gli serviva il suo mitra), un magistrato che indagava sui movimenti eversivi di destra … 13 omicidi, ha commesso, senza contare la strage di Bologna, per la quale è stato condannato, anche se lui si proclama innocente. (Ma chi crede a un assassino?)
Quanti anni di vero carcere ha scontato? Venti? E quali segni di ravvedimento e pentimento ci sono stati, per concedergli la libertà condizionata ora diventata definitiva?
Forse, in carcere ha fatto il detenuto-prodigio: è riuscito ad ottenere sconti di pena impensabili per altri detenuti della sua risma. Ma è pur sempre un assassino pluriomicida.
Io non sopporto l’associazione nessuno tocchi Caino, perché non ha nessun rispetto per il diritto alla giustizia di Abele.

domenica 2 agosto 2009

Lettera aperta a un bilòtt

Dopo cena, mentre riordino la cucina, ascolto sempre la trasmissione “la zanzara”, su radio 24. Chiudo la porta della cucina per isolare il resto della famiglia da questo mio spazio privato e per poter alzare il volume della radio, altrimenti il rumore delle stoviglie non mi permette un attento ascolto della trasmissione. Mi piace la conduzione di Cruciani, anche se a volte mi fa incazzare e gli tiro un cucchiaio di legno.
Venerdi sera un politico ospite della trasmissione affermava che si era fatto due palle così ad ascoltare il Dalai Lama, non ho capito in quale occasione, e che quest’ultimo dopo averlo annoiato per due ore gli aveva anche chiesto i soldi; “Ma me lauri, per vech i danè”, è stata la conclusione dell’arguto ragionamento.
Ma adesso gli rispondo io, a questo tizio, con una lettera aperta:
“ Al politico Nonsochisia che l'altra sera ha offeso il Dalai Lama trattandolo alla stregua di un qualunque blateratore in cerca di quattrini, vorrei dire che il giochetto di prendere in giro i PURI DI CUORE è vecchio, volgare e fin troppo facile. Certo, fa audience e fa ridere, rende anche popolari, un menù ghiotto per certi politici di basso carisma. Ma mi ricorda tanto il bullo che diventa leader della classe tormentando il più debole e scatenando l’ilarità generale.
Il Dalai Lama é il capo spirituale del buddismo, una delle religioni più importanti del mondo, ed é in esilio da quando la Cina ha invaso la sua terra, il Tibet, distrutto i suoi monasteri, torturato e ucciso migliaia di tibetani. Non é in giro per affari o per turismo. Da cinquant’ anni cerca sostegno alľ estero per aiutare la sua gente. Di sicuro preferirebbe appoggi politici piuttosto che quattrini, ma nessuno stato si metterà mai contro la Cina.
Cosa vorrebbe, il signor Nonsochisia? Che il Dalai Lama si mettesse a lavare i vetri della sua auto di lusso, come un qualsiasi extracomunitario? O a zappare la terra per guadagnarsi il pane? Cosa penserebbe se il Papa fosse scacciato dal Vaticano e un buddista lo esortasse ad andare a guadagnarsi la pagnotta?
Ci credo, che il tale si sia annoiato ad ascoltare Sua Santità. Una persona che ragiona in questo modo non è all'altezza di recepire discorsi diversi da quelli “da bar”. Ma bar di infima categoria.
E visto che il tipo mandava odore di lega e alla lega piace tanto il dialetto, voglio salutare il signor Nonsochisia con un’ esortazione: "Desmett de fa la cumedia, bilott!!".

P.S. Per chi volesse saperne di più su questo STRAORDINARIO personaggio, ho scelto questi due filmati. Guardateli e poi ditemi se Sua Santità non vi trasmette grande serenità, nonostante la tragicità della questione tibetana.



venerdì 31 luglio 2009

IO STO CON DON GIORGIO



Alla domenica mattina vado a Messa “in Monte”, alla funzione delle ore 8.
Mi piace la bellezza ordinata della casa parrocchiale, la semplice vetustità della chiesa, l’armonia con la quale l’edificio si inserisce nel paesaggio d’intorno, quasi fosse in simbiosi con esso. Mi piace il panorama che si gode dal sagrato, la collina spianata, a ovest, e vedere gli uomini che chiacchierano aspettando l’inizio della funzione mentre le donne, da secoli più pie, terminano il rosario, dentro. Mi piace leggere e tradurre (ogni volta!) la scritta sopra l’altare. “Stat Crux dum volvitur orbis et tempora labuntur” (“la Croce resta fissa mentre il mondo ruota e il tempo passa”)
Mi piace Don Giorgio, come mi piacciono tutti gli anziani che, non avendo più nulla da perdere, non hanno paura di niente e di nessuno.
Mi piace come si accinge all’omelia, con il capo leggermente reclinato sulla spalla, come un aquilotto nel nido.
Condivido molte delle sue idee anche se non tutte e non in modo così integrale.
Mi piace la passione che ci mette nell’esprimere i valori in cui crede e il coraggio di andare sempre controcorrente, “in direzione ostinata e contraria”, anche se poi la passione si trasforma nel brutto difetto di dire parolacce e di assumere atteggiamenti provocatori.
Non sono una fanatica di don Giorgio, non vado quasi mai sul suo sito, ma prediligo la sua Messa perché l’omelia mi fa riflettere invece che addormentare.
Al tizio che ha attaccato Don Giorgio domenica, vorrei dire che ha scelto il momento sbagliato nel luogo sbagliato.
Invece di preoccuparsi di un parroco di campagna, si preoccupi della salute del suo illustre paziente. Gli consigli di calmare i bollenti spiriti e di accettare la sua età, invece che rendersi ridicolo correndo la cavallina.
Su questa persona, il Don ha espresso un parere decisamente “soft”, un paio di domeniche fa, affermando che “il nostro Presidente del Consiglio è un porco”. Bum.
Dopo qualche giorno, lo stesso interessato ha ammesso di “non essere un santo”.
Quindi per una volta erano d’accordo, i due, perché qualcuno (ma solo un politico, credo, riuscirebbe in questa impresa) deve spiegarmi quale è la differenza tra non essere un santo ed essere un porco.
Ricordate il bambino della favola, unico nel reame ad avere il coraggio di gridare che il re era nudo?
Don Giorgio è come quel bambino: d’altra parte, non si dice che invecchiando si torna un po’ bambini? E il vangelo non dice “se non ritornerete come bambini non entrerete nel regno dei cieli”?
Don Giorgio, io sono con lei, a dire che il re è nudo.





giovedì 30 luglio 2009

IL CIELO HA IL COLORE DEI MYOSOTIS, OGGI

Dopo Chiavenna, finalmente, appaiono sullo sfondo le montagne svizzere, riconoscibili per la presenza esteticamente raffinata dei nevai. Grandi nuvole bianche fanno da cornice, come a voler sottolineare che sono loro, le più belle. Rassicuranti come una promessa: ho chiesto ospitalità proprio qui, perché speravo che l’ampiezza delle valli engadinesi mi liberasse dal senso di oppressione che mi accompagna in questi giorni, e la grandiosità dei suoi panorami mi risollevasse l’animo. Sono reduce da una settimana in cui mi sono trascinata come uno zombie da casa al lavoro e viceversa, contando i giorni mancanti alle ferie; giorni di caldo e afa, in cui a casa ho cucinato il minimo indispensabile al solo scopo di evitare una sommossa di protesta. Giorni in cui mi sono sentita svuotata e depressa . Alla fine, ho deciso la terapia: trascorrere una giornata nelle valli svizzere. Hanno già inventato la mountain-therapy? L'escursione inizia nei pressi della diga , prima del passo del Maloja, e la destinazione è la Capanna del Forno. E’ bello sedersi sul baule a mettere gli scarponi. Un sorso di caffè del thermos, gli zaini in spalla e via, ospiti della valle del Forno. A dispetto del nome, ci sono 15 gradi di temperatura e sento già l’ossigeno arieggiarmi il cervello. Il cartello posto all’inizio del sentiero, però, ci avvisa subito che il libro dal quale abbiamo preso informazioni è troppo ottimista: ci ha indicato 3 ore e mezza di cammino, invece che 4 ore e un quarto. Faccio finta di niente aspettandomi le rimostranze di G, che invece insolitamente accetta la sfida senza brontolamenti di sorta. Superate le baite di sasso di un borgo chiamato Salecina, il sentiero sale senza mai eccedere in un bosco di larici, arrivando al Plan canin, dove c’è un allevamento di capre. Un simpatico “ Babe maialino coraggioso” pascola all’interno della porcilaia, poi si unisce ai compagni, e tutti quanti in fila indiana vengono nei pressi della rete a salutarci. Poco sopra la baita c’è la diga a monte, e sulla centralina di accumulo dell’energia si nota chiaramente un segno distintivo del passaggio di nostri connazionali. Una scritta “padania libera” mi informa una cosa che non credevo possibile, cioè che anche gli imbecilli vanno in montagna. A pochi metri dall’interessante reperto, il cartello “fornohutte” è stato trasformato in “pornohutte”; deve essere stata la stessa mano della padania libera, riconosco lo stile. Giunti a questo punto della camminata, tutti gli svizzeri, tedeschi e stranieri di passaggio avranno risolto un dubbio che da tempo li attanagliava: come mai gli italiani hanno un capo così scemo? Semplicemente, non meritano di meglio. Dopo la diga, gli alberi spariscono e la vegetazione si riduce a macchie di nontiscordardime, grappoli di achillea, grandi fiori di arnica, genzianelle, fiorellini rosa che sembrano batuffolini di lana arrotolati e altri fiori di cui non conosco il nome. Mi faccio fotografare vicino ai nontiscordardime, perché la mia maglia antivento è in perfetta tinta col colore di questi semplici ma fantastici fiori. Il colore del cielo di oggi. Il sentiero prosegue nella pietraia che precede il ghiacciaio, fino a un ponte di ferro rotto (deviazione)e a un masso enorme con una scritta scoraggiante: per arrivare al rifugio manca ancora un’ora. Decidiamo di fermarci qui, per la stanchezza ma anche perché sono le due e da stamattina presto abbiamo bevuto solo un paio di caffè. Ci diciamo che non importa se non raggiungiamo il rifugio, è bellissimo anche così. Dopo esserci sistemati dietro un enorme sasso che offre riparo dal vento, mangiamo pane prosciutto e pomodori. Osservo il ghiacciaio, uno dei tanti che si stanno ritirando, offesi dalla nostra mancanza di sensibilità. Con la nostra prepotenza gli abbiamo perfino tolto l’aggettivo “perenne”. Vorrei usare quel ghiaccio per anestetizzare il dolore che sento dentro, vorrei disperdere nel vento gli affanni, vorrei affidare alla montagna “incantata” tutti quei pensieri che stanno mutilando la mia voglia di vivere. Non c’è bisogno di parlare. E’ sufficiente il classico rumore del torrente che scende dal ghiacciaio. Sulla via del ritorno facciamo una tappa al lago del Cavloc, che all’andata avevamo superato senza fermarci. Ci fermiamo su una panchina, dove scrivo un biglietto di auguri per il compleanno di un’amica. Il silenzio è interrotto solo dalle voci di bambini che giocano, sull’altra sponda. G. mi fa notare che era da tanto tempo che non sentiva il vociare di bambini con intorno il silenzio. E’ terribilmente vero. Rimediamo alla noia del noioso viaggio di ritorno in auto con due tappe: la prima per consumare una veloce cena di pesce, a Dorio, nei pressi di un residence per turisti tedeschi, e la seconda a Dervio, a salutare mia sorella e la famiglia del marito. Chiacchieriamo sul balcone dei suoi suoceri fino a quando diventa buio. Ci consigliano di prendere la superstrada, ma noi preferiamo la strada vecchia del lago, per assaporare la spettacolare limpidezza della notte che incombe sui piccoli paesi. Il vento che ancora soffia, instancabile, muove le acque grigio scure del lago, colora di nero profondo le sagome delle montagne e dà una nitidezza inconsueta al loro profilo, facendole sembrare più vicine di quanto appaiano di giorno. A ridosso di uno di quei neri profili, appare all’improvviso una falce di luna, anch’essa più grande del solito. “Notte scura, notte senza la sera notte impotente, notte guerriera per altre vie, con le mani le mie cerco le tue, cerco noi due. Spunta la luna dal monte spunta la luna dal monte” …. recitava una vecchia canzone di Pierangelo Bertoli. Le luci dei paesi in riva al lago, sull’altra sponda, danno un tocco di vita all’immobilità del paesaggio. La montagna mi ha ridato tutti i pensieri che pensavo di lasciarle, e me li sono riportati a casa, come si fa con i rifiuti, ma la stanchezza fisica mi dà, anche se sembra un controsenso, un riposante senso di benessere. Almeno per oggi, domani si vedrà.

domenica 19 luglio 2009

TEMPORALE E MALINCONIA

Venerdì pomeriggio mi metto sul balcone a guardare il temporale che sta arrivando. Il forte vento sembra voler staccare tutte le foglie del ciliegio, che invece rimangono attaccate alla loro pianta, ostinate. Le punte dei pini ondeggiano, le fronde dei platani sbatacchiano con furore. Tutti gli alberi si piegano, sembrano sul punto di spezzarsi , ma so che di lì a poco torneranno maestosi e fieri come prima. Se avessimo un decimo della forza di un albero, le difficoltà della vita non ci farebbero paura.
G. mi dice che va al parco per fare delle foto al temporale, e così, di corsa, lo seguo. A un certo punto pretende di far correre l’auto più veloce di quelle nuvole là, per precederle, ma quando gli intimo di farmi scendere dall’auto, desiste. In pochi secondi le nuvole si dissolvono.
Ci fermiamo alla cascina Scarpada. Da lì si vede il colle di Montevecchia e la valle. La pioggia, nel frattempo, è cessata. Nuvole di umidità salgono dal bosco come segnali di fumo, poi si disperdono nel cielo, pieno di nubi di ogni tipo. Basse, alte, bianche, grigio chiaro, grigio scuro, a strati, cumuli e nembi. Di tutto un po’. Nuvole veloci, lente, immobili. Quelle più veloci sono due nuvole basse, scure e striate che viaggiano “in direzione ostinata e contraria” rispetto a quelle poste più in alto.

Nella cascina della Costa, poco più sotto alla Scarpada, un cancelletto vieta l’ingresso. Case ristrutturate nel pieno rispetto di ciò che erano un tempo, gerani alle finestre, acciottolato ad hoc.
Tutto bello, ma io la preferivo come era prima. Ho una diapositiva (chissà dov’è) che ritrae il contadino che viveva lì (Pen del Costa) mentre spenna un pollo. Se la trovo, voglio mettere tre foto sul blog: come era questo territorio 20 anni fa, come è ora, come potrebbe essere domani coi pozzi maledetti.
Poi andiamo alla bellissima cascina Galbusera nera e anche qui, al posto del contadino Carletto, c’è un agriturismo. Il mitico Carletto l’ho incontrato poche volte, ma me lo ricordo bene. Questionava con G. a proposito delle limitazioni che le nuove norme di tutela gli ponevano: non bruciare, non tagliare, non cacciare … Contrario al parco nei primi anni della sua istituzione, alla fine ci si stava abituando.
O forse si era abituato alla presenza delle guardie ecologiche, con le quali aveva stretto un rapporto di amicizia pur continuando a litigarci. A un certo punto della conversazione, però, capitava che imponesse il silenzio per ascoltare il richiamo di un uccello: “Sent la parasciola! La me des de na a fa i vit! Oter che sta che a cascià ball!” (“Senti la cinciallegra! Mi ricorda di andare a fare le viti! Altro che sta qui a chiacchierare!”)
Infatti, il canto di questo uccello fa pressappoco così: “fa-i-vit-fa-i-vit-fa-i-vit”….(fà le viti)
L’ultima volta che sono passata dalla cascina Galbusera nera, forse un paio di anni fa, nevicava, e al ritorno avevo scritto le sensazioni che mi aveva regalato quella camminata sulla neve.
Oggi calzo i sandali, essendo uscita di casa in fretta, così anche se ha smesso di piovere non posso camminare, godere della freschezza dell’aria dopo giorni di arsura e, forse, rasserenarmi un po’.
La nostalgia di ciò che c’era qui tanti anni fa si mescola con la paura di perdere quel poco che è rimasto e questi due sentimenti mi rattristano l’animo.
Infine, andiamo alla “cà del soldato”a cercare un mazzo di chiavi che G. ha smarrito durante l’ultima uscita. Raccogliamo delle susine da un ramo caduto a terra per il forte temporale. Sono ancora acerbe, e quando torniamo a casa le metto sulla penisola della cucina ad asciugare, sperando che maturino.

sabato 18 luglio 2009

OLGIATESI, GIU’ DALLE BRANDE!



Ieri sera ho partecipato all’ assemblea pubblica “Petrolio,rischi e danni”organizzata dal comitato NO AL POZZO, a Olgiate Molgora.
Abbiamo visto, come in una sfera di cristallo, cosa ci può riservare il futuro: nientemeno che la morte del nostro territorio e il deterioramento della nostra qualità di vita, dentro o fuori dal Parco del Curone.
Che i pozzi si facciano a Bagaggera o a Cernusco, la sostanza non cambia. Punte di diamante lubrificate con sostanze tanto sconosciute quanto nocive trafiggeranno il suolo, i fumi saturi di acido cloridrico si spargeranno nell’aria, gli scarti delle lavorazioni verranno seppelliti in discariche.
Veleno nel suolo, nelle falde acquifere, nell’aria che respireremo, e la spada di damocle di possibili incidenti sulla testa. In un territorio ad altissima densità abitativa. Perché, si sa, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, e quando a Trecate esplose il pozzo i tecnici non sapevano cosa fare.
Ieri sera si è parlato tanto di economia e di soldi. Quando sentivo la parola “risarcimento”, mi ribolliva il sangue. Avrei voluto alzarmi e urlare: noi non vogliamo essere risarciti! Non vogliamo neppure sentir parlare di soldi! Non vogliamo vendere la nostra casa e scappare! Vogliamo continuare a vivere qui, dove ci sono i nostri affetti e le nostre radici.
E’ stata una serata strana, oserei dire tragica, e stanotte non sono riuscita a dormire, come se invece che ad una assemblea fossi andata a vedere un film dell’orrore. Anzi, peggio: come se al termine della proiezione mi avessero detto che il film si sarebbe trasformato, di lì a poco, in realtà.
I relatori sono stati bravissimi: brevi, concisi, efficaci, mai noiosi. Al termine, la parola è passata al pubblico. Ci fossimo trovati in un’altra regione d’Italia, la reazione sarebbe stata di rabbia urlata, parole scomposte, minacce di morte alla Povalley, incitamenti alla folla di improvvisati capipopolo. Ma qui siamo in Brianza.
Il pubblico è intervenuto, numeroso, fino a mezzanotte: proposte serie, domande appropriate, interventi razionali, atteggiamento dignitoso. La passione la si doveva intuire sotto le parole, non è mai stata sbandierata. La paura era ben nascosta. Non so se questo sia un bene o un male.
Ciò che mi preoccupa è la poca partecipazione degli abitanti: il due per cento dei residenti, a occhio e croce. Colpa di un difetto di comunicazione (tante informazioni sul web, poche con i sistemi tradizionali?) o di un certo disinteresse dei cittadini verso tutto ciò che è di interesse pubblico?
Ad ogni modo, Olgiatesi, svegliatevi! Non è il momento dei se, ma, forse, vedremo. Mettiamo banchetti fuori dalle chiese, riempiamo le strade con striscioni, scriviamo lettere ai giornali, interpelliamo Celentano, la Ruggieri, George Clooney . Mettiamo un cartello sul cancello di casa: qui si firma contro la morte della nostra terra.
E’ ora di agire: GIÙ DALLE BRANDE!

domenica 12 luglio 2009

QUESTA TERRA E' LA MIA TERRA

La gente arriva alla manifestazione “Piantiamo alberi, non trivelle” a piedi, perché la strada è chiusa al traffico. Sul cartello del divieto di transito, qualcuno ha scritto: “Trivellatevi il cervello”.
Bagaggera è una frazione formata da qualche cascina e tanti campi. Mi sistemo sul pratone più alto e osservo il corteo, guidato dai Sindaci. Vengono piantumati due gelsi. Il gelso è un albero di cui un tempo erano pieni i campi, perché le sue foglie erano il cibo del baco da seta, il cui allevamento costituiva per i nostri nonni un’integrazione ai magri guadagni del lavoro di contadino. Muron, si chiamano in dialetto. Ora non se ne vedono quasi più.
Terminati i discorsi mi siedo sul prato, di fronte al palco dove suoneranno.
Da questa altezza ho una visuale completa : le cascine, i terrazzamenti, i banchetti delle firme, delle magliette e degli assaggi gastronomici, il prato sottostante che si riempie di colori e voci.
Le persone che arrivano dalla strada defluiscono qui e là in disordine, come formiche che hanno perso la strada di casa. Passeggini, cani, bambini che perdono mamma e papà, giovani, adulti e perfino qualche anziano con la sedia appresso. Un bimbo fa i capricci davanti a una fetta di anguria, la mamma si impegna a togliere ogni infinitesimale nocciolino, ma il pargolo non accenna a calmarsi. Il rosso del frutto è talmente fresco e invitante che mi verrebbe voglia di scippare la fetta e riempirmene la bocca assetata , così il bambino piangerebbe per un motivo serio. Cerco qualche viso conosciuto. Nessuno. Di tutto il mio paese, riconosco solo il Sindaco, mio marito e un ex compagno di scuola di mio figlio, diventato fricchettone. Chiedo ai miei vicini di prato da dove vengono: Verderio.
Forse per la solita storia che quando hai una cosa non ti accorgi del suo valore?
Un urlo riporta la mia attenzione alla famigliola di prima, dove si è consumato l’epilogo che avevo previsto: la fetta di anguria contestata è caduta. (Ben gli sta)
Se guardo in alto, invece, lo spettacolo si fa più riposante. In cima alla collina, dove finisce il verde scuro dei boschi e inizia l’azzurro del cielo, ecco il Santuario di Montevecchia, con una bella nuvola che gli fa da cornice. Sembra che guardi in basso, su questi due pratoni verde chiaro, rasati di fresco, pieni di vita come una giostra.
E’ iniziato il concerto. I due musicisti -cantanti- autori – gridano il loro e il nostro no a chi vuole comprare questa terra. Hanno anche tradotto in italiano una canzone di Woody Guthrie, “Questa terra è la mia terra”. Sono loro riconoscente, quasi commossa, perché mi ricorda il film omonimo che mi aveva tanto colpito, in gioventù. Oltre a cantare, leggono brani degli indiani d’America, e pur così giovani, dicono cose sagge. Penso a mio figlio, così lontano da queste cose. Mi piacciono proprio, questi due. Bevono acqua, non la solita birra, e dicono di non buttare i mozziconi per terra. Questa terra è la mia terra, non potevano trovare una canzone più azzeccata. La terra delle nostre radici. Qui il mio bisnonno fece il contadino a mezzadria, mangiò solo polenta, si ammalò di pellagra e si uccise all’età di 42 anni.
Ehi! Non ho fatto in tempo a distrarmi un momento che i musicisti sono lì che tracannano vino da un bottiglione enorme. La riabilitazione del mio figlio disimpegnato è immediata. No, non vorrei che fosse così. Mi sta più che bene anche cosà.
Resto sul prato ad ascoltare il concerto fino alla fine, poi me ne torno a casa. Non prima di aver dato un ultimo sguardo al Santuario della Beata Vergine del Carmelo. Spero che il Carmelo, la Vergine e tutti i Santi continuino a guardare giù, su questa terra che è la nostra terra, anche quando tutti se ne saranno andati.




QUESTA TERRA È LA TUA TERRA
Testo e musica di Woody Guthrie
Questa terra è la tua terra, questa terra è la mia terra
Dalla California fino all’isola di New York
Dalla foresta di sequoie fino alle acque della Corrente del Golfo
Questa terra è stata fatta per te e per me
Mentre percorrevo a piedi un pezzo di autostrada
Ho visto sopra di me una strada infinita nel cielo
E ho visto sotto di me una valle tutta d’oro
Questa terra è stata fatta per te e per me
Ho vagato senza meta e sono tornato sui miei passi
Fino alle sabbie scintillanti dei deserti di diamanti
E tutt’intorno a me risuonava una voce
Questa terra è stata fatta per te e per me
Mentre passeggiavo il sole splendeva
I campi di grano ondeggiavano e le nubi di polvere si rotolavano
La nebbia si sollevava e una voce cantava
Questa terra è stata fatta per te e per me
Mentre camminavo, ho visto un cartello
Su cui c’era scritto “Vietato l’accesso»
Ma dall’altra parte non c’era scritto niente!
E quella parte è stata fatta per te e per me!
Nelle piazze della città, all’ombra del campanile
Vicino all’ufficio sussidi, vedo lo mia gente
Alcuni si lamentano e alcuni si chiedono
Se questa terra sia fatta ancora per te e per me.
(traduzione di Giampiero Cara)

venerdì 10 luglio 2009

UNA MANO LAVA L'ALTRA, E TUTTE E DUE... VENDONO IL PARCO


Guardate il video dell’atto finale , in senato , della vicenda “Petrolio nel Parco del Curone”.
http://www.youtube.com/watch?v=m3ruZBZQnEE
Osservate le mani di Bodega: mentre si accinge a parlare, una mano lava l’altra, poi si stringono. Si chiama “linguaggio del corpo” e a volte è più chiaro delle parole. (In questo caso, non ci voleva molto: ha parlato in puro politichese, non si è capito un’acca)
Bodega ha lavato la mano che al termine dell’intervento schiaccerà il bottone. Forse quella mano ha stretto quella di gente che crede (ancora!) che alle parole debbano seguire i fatti. Che la parola data vada mantenuta. Che non è bello dire le bugie.
Con un semplice gesto lava via le promesse di mesi (niente trivelle se il parco non le vuole) , le parole di anni (padroni a casa nostra), i voti di tanti (qualcuno se ne accorgerà? Dove siete, leghisti? Parlate!)
Bodega conclude il breve e sconclusionato intervento dicendo che non voterà. E’ chiaro, se ne vuole lavare le mani. Per evitare future accuse, vuole fare il Pilato dei pozzi. Contestato dagli avversari, dice che voterà contro, giusto per fare loro dispetto, così imparano a contestare la sua ignavia.
E il ministro Castelli, dov’è? Ha paura di doversi rimangiare le sue stesse parole, lette dalla senatrice Mazzucconi? E’ malato? Brunetta gli ha mandato il medico fiscale? Ah, no, forse è in giro a fare politica sul territorio, da bravo leghista. Ma quale territorio? Quello che da casa sua porta alla poltrona.

domenica 5 luglio 2009

INDULTO e INTERCETTAZIONI : DUE FACCE DELLA STESSA FREGATURA


Uno dei primi provvedimenti del governo Prodi fu l'indulto. Si comincia bene-pensai.
D'Alema ne minimizzò le conseguenze dichiarando, con la sua aria snob e il tono magnanimo che la questione imponeva, che in fondo si trattava "solo" di ridare la libertà a quindicimila "poveracci". Mi sbaglierò di sicuro sul numero, ma non sul termine, perché ricordo che pensai: per quale ragione un delinquente diventa automaticamente un poveraccio il giorno in cui va in galera? E poi pensai anche: Se questi sono poveracci, come definire le loro vittime? Poveracci di seconda scelta? O semplicemente degli sfigati?
E, continuai a pensare, una volta usciti dal carcere i beneficiari dell'indulto, perdonati senza nemmeno aver dovuto chiedere perdono, avendo con la libertà perso la qualifica di poveracci, come avremmo potuto definirli?
Un vero dilemma al quale non riuscii a trovare risposta, mentre non ebbi incertezze nel trovare il giusto termine per le vittime, che passavano dallo status di "sfigato" a quello di "cornuto e mazziato".
Io credo nell’alto valore educativo del castigo. Se proprio vogliamo abolire questa parola perché ci ricorda odiosi, immeritati, esagerati provvedimenti subiti nell’infanzia, possiamo sostituirla con il termine “conseguenza delle proprie azioni”. D’altra parte, le nostre azioni quotidiane sono dettate dalle conseguenze che ne derivano: al mattino ci alziamo per andare a lavorare, e lo facciamo per guadagnarci la benedetta pagnotta. O no?
Ora. Una delle prime proposte di legge del governo Berlusconi 2008 ha riguardato la limitazione delle intercettazioni telefoniche. "Si comincia bene" ho pensato anche stavolta.
Nella mia ottusa ingenuità penso che una persona onesta non abbia niente da temere da qualsivoglia intercettazione. Quindi la legge serve per proteggere coloro che hanno qualcosa da nascondere, traffici illeciti e via dicendo.
Cosa hanno in comune la legge anti-intercettazioni e l’indulto di cui parlavo prima?
Semplice: entrambi i provvedimenti mi inducono a sospettare che i governi, di qua o di là, abbiano come priorità la difesa di coloro che non rispettano le leggi. Questo governo lo fa in modo più economico del precedente: inutile metterli in galera per poi toglierli! Meglio risparmiare sulla spese dei processi e dell'assistenza carceraria. Alla faccia del governo che ha come priorità la sicurezza, cara lega dei miei stivali.
Sapete che vi dico?
Io, cittadina che guadagna 1000 euro al mese, che paga le tasse fino all'ultimo cent, che affronta il carovita ogni sacrosanto giorno, che parla al telefono fregandosene delle intercettazioni, che ascolta i discorsi dei politici con crescente disagio, … io... mi sento tanto una poveraccia.

giovedì 2 luglio 2009

Sempre caro mi fu quest'ermo colle




Salviamo il Parco di Montevecchia e della Valle del Curone: morbide colline, cascinali, coltivazioni alternate a boschi, aziende agrituristiche, cipressi, terrazzamenti, torrenti e sorgenti; sembra di essere in Toscana, invece siamo tra le due città di Milano e di Lecco.
Qui da oltre vent'anni decine di volontari amanti della natura donano il proprio tempo per fare vigilanza ecologica, educazione ambientale nelle scuole, visite guidate e cura del territorio. C'è un sasso, chiamato "belsedere", dove si dice che il cardinale Schuster in visita pastorale si fermò per riprendere fiato dopo la salita , esclamando : “Ah, che bel sedere!”. Dalla cima del colle, quando è sereno la vista spazia sulla piatta estensione dell’hinterland milanese. Sopra la distesa di costruzioni, il cielo non c’è più: sparito, sostituito da un lenzuolo grigio, come il coperchio di una pentola. È la cappa di smog. La metropoli è come un mostro che allunga i suoi tentacoli verso questa collina.
Le nostre dolci colline coltivate a vite, rosmarino e salvia, miracolosamente scampate alle gru e ai tentacoli dell'hinterland milanese, sono ora minacciate da un secondo mostro, arrivato alla chetichella ma ancora più infido e pericoloso del primo, come nei film di Harry Potter. Il mostro è nero, viscido, puzza , ha gli occhi di bragia e vuole violentare la terra fino a 6000 metri di profondità. Si chiama Po Valley ed è una società petrolifera australiana.
Dove andranno, i nostri nipoti, a osservare girini e salamandre, sentire la risata del picchio verde, scoprire le tracce degli animali del bosco, fare mille domande sui prodigi della natura, o semplicemente correre nel prato con altri bambini? Direttamente nel pozzo?
Prima delle elezioni i politici sono saliti al colle di Montevecchia a spergiurare che si sarebbero impegnati per tutelare il Parco. Alcuni addirittura negavano l’evidenza, e con la testa sotto la sabbia sostenevano che la storia del petrolio era una montatura della sinistra.
Non mi aveva certo convinta quella sfilata di politici al colle, ma mi ero detta: non c’è altro da fare. Facciamo finta di crederci.
Infatti, ieri in parlamento è passata la legge che bypassa il parere degli enti locali in materia energetica.
I politici sono venuti al colle a stringere la mano del presidente del Parco, ma poi l’altra mano l’hanno usata per votare contro il Parco. Che dire, dopo gli ultimi scandali hanno deciso di riportare un pò di etica nella politica mettendo in atto il precetto evangelico “Non sappia la tua mano destra quello che fa la tua mano sinistra”. Buon pro gli faccia!! C’è perfino una sindrome neurologica chiamata “la mano anarchica”: le persone che ne sono affette avvertono un conflitto fra la loro volontà dichiarata e l’azione di una delle loro mani. Se non fosse una malattia rarissima direi che è un virus che imperversa a Montecitorio.
In realtà hanno usato la questione per prendere qualche voto in più, e noi siamo rimasti cornuti e mazziati. Io possiedo solo una matita spuntata, come arma, cosa posso fare?
Il gigante si sta avvicinando a grandi falcate e in men che non si dica schiaccerà le viti con un piede, il rosmarino con l'altro, mangerà me e la mia ridicola matita, si siederà sul “belsedere”, la collina sprofonderà e dalla voragine uscirà una fontana di petrolio. Non potremo nemmeno avere la consolazione di morire col l'olio santo, ci metteranno nella bara con un pò di sporchi soldi in mano e ci diranno che l'olio nero è molto meglio di quello santo, ormai passato di moda.