domenica 11 ottobre 2009

addio monti

Colazione, Messa, edicola, papi, bucato, e.. caspita, che bella giornata, meteorologicamente parlando. Vale la pena di stare in casa a smazzarsi in cucina? Al diavolo l’arrosto, e ce ne andiamo al Monte Barro. Il Barro mi è simpatico perché:
non è molto distante e quindi accetta le improvvisate dell’ultimo momento, come oggi.
Mezza giornata è sufficiente per andare in auto all’eremo, raggiungere la vetta a piedi, rimanerci quanto basta e tonare.
Ho tanti ricordi di gioventù: i tornanti sono gli stessi di oltre trent’anni fa, quando un amico fresco di patente non sapeva che doveva “ritornare” il volante; risento le risate incoscienti di me e mia sorella che ridiamo come pazze invece che scappare a gambe levate da quel pericolo viaggiante; ma dove è finito il muretto sul quale dipingemmo un murales sulla natura? Posteggiamo all’eremo dove trascorsi una settimana di lavoro ecologico. Ricordo il lavoro di pulizia dei boschi, di giorno, e il senso di meraviglia nell’osservare il panorama, di notte: il silenzio, il buio, i rumori quasi paurosi della natura facevano apparire la vita là in basso, riflessa nelle luci intermittenti, così lontana, sorpassata, quasi oscena da tanto era forte il contrasto. Momenti magici che ti convincevano che volevi bene a tutti.
Imbocchiamo il sentiero che porta in vetta e alla croce , meta di tante gite in compagnia.
La vetta non è una gran vetta, sarà 1000 metri, ma è pur sempre una vetta, e pur nella sua modesta altezza, in quanto a panorama non ha niente da invidiare alle vicine e più altezzose montagne. C’è un grande sasso, che mi aspetta, poco sotto la cima, il mio sasso fedele. Il monte Barro divide i tre laghetti del triangolo lariano dal lago di Lecco, è lì in mezzo come un papà che bada ai tre figli piccoli (che stanno vicini, quasi tenendosi per mano) tenendo d’occhio nello stesso tempo anche quello grande che non vuole mischiarsi con i marmocchi. Una decina di anni fa l’hanno traforato, questo monte sul quale sono seduta, per fare la superstrada Milano Colico.
La vista spazia su un territorio che amo: le montagne (Il Resegone le Grigne, la Valcava), il lungo e sinuoso fiume Adda, le colline, il campanone della Brianza, il santuario, i laghi, i prati, i boschi, i nostri paesi. Non manca proprio niente, a confronto di certi territori piatti: pianura, pianura, pianura, oppure mare, mare, mare, o collina, collina, colllina… che palle!
Alle mie spalle, la città di Lecco, esagerata come tutte le città. Se non avesse le montagne che la fermano, dove arriverebbe ?
Stamattina i laghi lariani mi appaiono un pochino noiosi, con quella forma circolare, e anche Il loro colore ha qualcosa di plumbeo, addirittura il lago di Annone sembra quasi avere delle macchie oleose, sulla superficie. Oggi il sole sembra prediligere l’Adda, che qui ogni tanto si restringe formando i laghi di Olginate Garlate e Lecco: i raggi giocosi e il vento creano un effetto luccicante sulle acque, che sembrano una distesa di asfalto appena buttato, da quanto brillano.
Come aveva ragione Lucia, a piangere lasciando Pescarenico:
“Addio/ monti sorgenti dall'acque- ed elevati al cielo/ cime inuguali/ note a chi è cresciuto tra voi/ e impresse nella sua mente/ non meno che l’aspetto de' suoi familiari/ torrenti- de' quali si distingue lo scroscio/ come il suono delle voci domestiche/ ville sparse e biancheggianti sul pendìo/ come branchi di pecore pascenti/ addio!/ Quanto è tristo il passo di chi/ cresciuto tra voi/ se ne allontana!//”
...Rannicchiata nel mio sasso, scaldata dall'ultimo sole della stagione, con la ninna nanna del Manzoni, mi sono addormentata.

1 commento:

  1. ho sentito il profumo della natura........... mi capita così raramente! Confesso....., ho riletto "il post" due volte per conservare il ricordo dell'essenza.........

    RispondiElimina

Parla! Adesso o mai più!