martedì 4 marzo 2014

il fiammifero di papà



Il 2007 fu l'anno della partecipazione a concorsi letterari.
Il 6 gennaio scrissi questo racconto autobiografico per il concorso "panchina".


La domenica pomeriggio le mie amiche andavano all’oratorio femminile. Io non ci andavo perchè avevo qualcosa di meglio da fare: collaborare con papà alla preparazione di dolci casalinghi. 

Papà aveva la passione della cucina e possedeva molti ricettari, ma ne prediligeva e usava uno in particolare: un vecchio volume dell’Artusi, un’edizione economica che il tempo e l’uso avevano ridotto a quaterne scollate di fogli ingialliti e stropicciati, con qualche grumo di farina sulle pagine delle ricette più sperimentate. 
Quando vedeva l’Artusi in circolazione  mamma cominciava a preoccuparsi, chiedendosi  come si sarebbe evoluta la situazione.  Infatti il papà, da buon creativo, non sempre si accontentava di sfornare la solita torta margherita, che poi regolarmente veniva tagliata a metà e farcita con marmellata fatta in casa: a volte si buttava sul difficile proclamando che con il nostro aiuto avrebbe  preparato un babà, degli spumoni, le brioches!

In questi casi noi figlie -quattro femmine- appoggiavamo con entusiasmo il progetto, mentre mamma tentava invano di dissuaderci, memore di precedenti esperienze concluse con risultati scadenti e cucina imbrattata.

Ricordo un pomeriggio d’autunno in cui mio padre decise di preparare dei tortelli di castagne con i frutti che quella mattina avevamo raccolto nel bosco, sulla collina vicino a casa. Io e le  mie sorelle  ci divertimmo a scavare, impastare, pasticciare con la polpa farinosa, mentre lo sguardo vigile della mamma assisteva impotente alla vista di grumi farinosi  che cadevano sulle sedie e sul pavimento, alle ditate sui mobili, alla disorganizzazione generale...  mamma era fissata per l’ordine e la pulizia, e in quel momento la cucina era un campo di battaglia.

D’altra parte cosa poteva aspettarsi da quattro bambine e un papà che si arrabattano con una polpa di castagna molto ostile e assolutamente poco propensa ad amalgamarsi con gli altri ingredienti?

A un certo punto della serata era tardi e nessuno aveva cenato!   
Mamma se ne andò a letto infuriata, e a noi non restò altro da fare  che continuare il lavoro senza il suo prezioso apporto, impresa che si rivelò molto più lunga e difficile del previsto; contrariamente alle nostre abitudini, stabilite e fatte rigorosamente rispettare da mamma, quella sera ci coricammo tardi.

Non ricordo il risultato e il sapore di quei dolci alle castagne, perché il dispiacere per averla fatta arrabbiare si sovrappose alla memoria culinaria.

La maggior parte delle volte, invece, le cose andavano per il verso giusto, e tutti insieme collaboravamo alla buona riuscita dei dolci.

Il momento più bello era quello della cottura: per controllare questa fase, che papà sosteneva essere quella più delicata, ogni dieci minuti si accovacciava davanti al forno, accendeva un fiammifero e lo accostava al vetro, commentando la lievitazione del dolce con espressioni di incredulità, meraviglia e stupore.

“Venite a vedere!” ci invitava, e noi correvamo là prima che il fiammifero si spegnesse;  la fiamma era debole e incerta ma  sufficiente per mostrarci uno spettacolo  sempre nuovo e imprevedibile: a volte la torta si sollevava piano piano, come spinta dal basso da una invisibile mano, e la pasta molliccia e viva si trasformava in una crosticina dorata, mentre l’aroma usciva dal forno e ti faceva venire l’acquolina in bocca…

Altre volte l’impasto lievitava troppo in fretta, e il dolce assumeva la forma di una montagna, o di un vulcano pronto ad eruttare, ma poi di colpo sprofondava nel suo stesso magma bollente, causando inestetismi ugualmente commestibili.

Mentre le torte, prigioniere nel forno, controllate a vista, terminavano la cottura, il profumo usciva dalla cucina, si espandeva in ogni angolo della casa, correva sulle scale, entrava nelle  camere da letto.... 
Quando la sera ci coricavamo, sotto le coperte ce n’era ancora un po’.



17 commenti:

  1. ti piacerebbe tornare a quei tempi vero?
    quando andavo a letto era un freddo polare
    e mi rannicchiavo tutto mettendo sotto anche la testa
    e ancora lo faccio.

    RispondiElimina
  2. No, non credo mi piacerebbe.
    Troppo faticosa la salita della crescita.
    Anche a casa di mio marito non si usava riscaldare le stanze,
    Quando eravamo morosi di sera ci stravaccavamo sul letto -lui a guardare la tele, io a dormire- e prima che fosse notte la sorella di sua nonna entrava a portare un bicchiere di acqua e il mattone scaldato nella stufa e avvolto in stracci, da infilare tra le lenzuola :D

    RispondiElimina
  3. Se questo è uno stralcio simbolo della tua infanzia, Silvia, ma tu ti rendi conto di quanto sei ricca, che preziosa eredità di ricordi possiedi grazie ai tuoi genitori? Custodiscila con cura e, di tanto in tanto fanne partecipi i tuoi amici di blog, visto che lo sai fare in un modo che spande tenerezza e deliziosa suggestione.

    RispondiElimina
  4. Simbolo della mia infanzia? Bello.
    Simbolo della mia infanzia è il modo in cui papà mi teneva per mano, le poche volte che mi portava in città.
    Eredità di ricordi? Bella e preziosa eredità: i bei ricordi -anche i brutti- fanno e faranno da collante tra noi sorelle, come sicuramente non farebbe un'eredità di quattrini .
    (anzi! :))

    RispondiElimina
  5. Racconto delicato. Attraverso le righe che rileggi adesso passano filtrate tutte le gocce di gioia di un tempo irripetibile, che unisci adesso alle gocce del tuo dolore. Ne vengono fuori momenti di incanto che solo chi non li ha ancora provati non apprezza nel dovuto modo. Perché c'è incanto nel dolore e senso di infinita leggerezza nella sofferenza.
    Se adesso chiudo gli occhi io vedo il mio papà che prepara la sua macchina fotografica e mi lascia accanto a lui. Poi mi vedo insieme a lui nella camera oscura mentre sviluppa le foto che durante il giorno abbiamo scattate insieme, lui con la Leika, io con i miei occhi di bambino pieno di fantasia. E vorrei rimanere per sempre con gli occhi chiusi a rimirarmelo questo mio immenso papà, che troppo presto mi ha lasciato solo.

    RispondiElimina
  6. E" passato un mese, come mi hai ricordato ieri by Phone.
    Non ho trovato alcuna incantevolezza nel mio dolore, nemmeno leggerezza nella sofferenza, che anzi mi pesa come se fossi semi sepolta sotto una slavina.
    Il dolore si è manifestato, a fasi alterne, ora umido e rigoglioso come una foresta tropicale, ora disidratato come un deserto.
    pure mio padre era appassionato di fotografia.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Non era chiaro nel mio testo, lo ammetto. Devi aspettare che passi molto più di un mese per sentire trasudare dentro di te l'incantevolezza del dolore, perché è come se decantasse la parte più nobile di esso e venisse a galla di tanto in tanto dal bacino dove l'abbiamo inabissato. Mio padre se ne andato che sono quasi 44 anni. Ero troppo giovane allora per capire a fondo la voragine che la sua enorme mancanza aveva spalancato sotto i miei piedi. Ci sono caduto dentro pari pari, ma solo dopo anni ho sentito il dolore nella sua pienezza e nel suo incanto. Fidati: non sono un essere speciale, un marziano diverso da tutti voi, solo estremamente sensibile -come sei tu- e con un quoziente di fragilità che mi rende bello nella mia attuale bruttezza. Quella fragilità che è la maggior componente della tua forza interiore.

      Elimina
    2. Non è che ci abbia capito molto, non saprei dividere il dolore in parte nobile e parte plebea, a me sembra tutto uguale.
      Non ho capito nemmeno la conclusione, fragilità e forza mal si conciliano, sono ossimori.
      Ma può essere sempre per quella storia dell'emoraggia dei neuroni.

      Elimina
    3. Ma cosa c'è da capire? E cosa sono sti neuroni, roba che si mangia? Ossimori? Mai sentito parlare di forza interiore? Ci sono muscoli dentro lo spirito? Solo sentimenti, che possono essere forti o fragili, ma sono comunque componenti della forza interiore, facce di un unico cubo. Non fare la maestra di scuola anche quando non occorre.
      Il fatto è che non sapevi cosa dire, non volevi dire e quindi hai detto la prima che ti è passata per la testa.

      Elimina
    4. Io non dico mai la prima cosa che mi passa per la testa.
      sei tu che lo fai, di solito.

      Elimina
    5. È vero, lo so e lo ammetto, ma a volte può succedere che ci si ingolfi per troppo voler fare. Comunque non era detto in tono canzonatorio, né di dileggio.

      Elimina
  7. Questo è un ... buon ricordo del tuo babbo.

    > concluse con risultati scadenti e cucina imbrattata

    Ora, immagino che la cucina poi, la pulisse tua madre.
    La miglior terapia per sensibilizzare al disordine è... incaricare le persone di mettere a posto ciò che hanno combinato.
    Se una persona deve poi pulire e riordinare sta molto più attenta a non sporcare e non incasinare.
    Funziona!
    Carino il racconto.
    Si sente il profumo di dolce in forno fin qui! :)

    Buongiorno.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Papà non metteva mai a posto niente, nemmeno gli attrezzi che usava nei suoi eterni inconcludenti lavori, poi stressava mia mamma affinchè glieli trovasse.
      Mio padre è stato viziatissimo da mia madre.
      Mi fa piacere questa condivisione di profumi.
      Buona notte.

      Elimina
    2. Ora che sono padre oltre che figlio, mi rendo conto che a volte i "no che aiutano a crescere" sono impegnativi per chi li dice, non solo per coloro che ne sono destinatari.
      E ciò vale anche in coppia.
      Per tua madre forse era più facile mettere a posto che cercare di "educare" tuo padre.
      Ecco, il termine viziatissimo rende bene l'idea.
      Come i bambini.

      Elimina
    3. E' sempre più facile essere accondiscendenti, tuttavia un metodo educativo improntato al lassismo prima o poi ti presenta il conto e lo paghi tutto in una volta, senza possibilità di rateizzazzioni.
      Detto questo, sono convinta che pur con tutti i "NO" del caso, la generazione dei nostri figli l'abbiamo tirata su col culo nel burro.

      Elimina
  8. I bei ricordi sono le cose più preziose che abbiamo... scriverle aiuta a non dimenticarle!

    RispondiElimina
  9. Giusto, Lisa ... e complimenti per il tuo bellissimo blog letterario, te lo invidio!

    RispondiElimina

Parla! Adesso o mai più!