domenica 6 giugno 2010

niente pigiama

Ginocchio in pappa non ha voluto comprarsi un pigiama, per mettersi a letto ha indossato un paio di pantaloncini corti e la maglietta della squadra. L'infermiere che poco fa ha sbrigato le pratiche dell’accettazione ora gli fa indossare camice e cuffia verdi tessuto non tessuto e gli spara un’iniezione di calmante nel sedere, come prassi. Gli chiedo se non avrà freddo, in sala operatoria, vestito così poco. Tipica domanda stupida di mamma stupida. l'infermiere è molto gentile, quasi materno nonostante debba avere supergiù la stessa età di mio figlio. (Prevedo già che g.i.p. mi chiederà, poi: "Mamma, secondo te era gay?") (“e anche se fosse? Era bravo, no?”)
Finalmente alle 10 arriva un donnone vestito di verde che lo porta in sala operatoria. Lo saluto con un gesto: come puoi parlare, in un momento così?
All’inizio leggo il giornale riuscendo anche a concentrarmi. Il Presidente della Repubblica Federale Tedesca si dimette perchè ha detto una verità (quasi come il nostro berlu che racconta palle per non dimettersi, penso) Ascolto la radio col cellulare. Rispondo ai messaggi di auguri. Osservo dalla finestra le persone che affrontano questa giornata di sole e caldo estivo, e ricordo l'invidia che provavo nei confronti della vita fuori quando, con g.i.p nella pancia, rimasi in ospedale per un mese. Quando venti giorni fa chiesi al chirurgo come avrebbero riparato il legamento di g.i.p., mi rispose: "nessun pezzo di ricambio sarà mai perfetto come quello che le aveva fatto lei, signora". Ma io non ho fatto niente, ho solo accolto e custodito e sparato fuori.
L’infermiere aveva ipotizzato tre quarti d’ora di operazione. Dopo un’ora e mezza comincio a dimenticare ciò che leggo. Mi accorgo che, coincidenza strana, mi sono portata un libro che mi avevano regalato quella volta del ricovero con ginocchio perfetto nella pancia. L'occhio dell'orologio.
Provo a scrivere. Scrivo, cancello, riscrivo. Scrivo delle mani del chirurgo, che stanno riparando un pezzettino che è nato dentro di me, ma che non è me, ma che è più di me. Strappo. Cestino giornale e fogli pieni di cancellature. Dopo un po’, sento la voce dello specialista. E’ in sala gessi. Ma allora, dov’è mio figlio, e soprattutto, chi lo sta operando, se non LUI? Forse il chirurgo è qui perché ha terminato l’operazione, vuol dire che tra poco sentirò il rumore di una barella e g.i.p. mi farà il gesto di ok.
E invece, si susseguono rumori di carrelli del pranzo emananti odori di cibo ospedalizzato, carrelli dei farmaci, suoni di campanelli, insomma un gran via vai ma niente letto ambulante con g.i.p. a bordo. E' un continuo alzare gli occhi inutilmente. Forse è la volta buona … un ragazzo in barella, con le flebo… ma perché dorme? Perché non è lui.
Scambio qualche chiacchera con i new entry che occupano via via gli altri tre letti di questa camera in attesa di essere operati oggi, ma soprattutto faccio un gran su e giù per il corridoio. Chiedo all’infermiere se mio figlio è stato smarrito in sala operatoria. No, risponde, credo che sia entrata una donna, prima di lui. I minuti susseguono lenti mentre continua a suonarmi il cellulare, e mi tocca rassicurare familiari e parenti mentre proseguo il su e giù per il corridoio dalle piastrelle vecchie e gli infissi scrostati.
Sono passate tre ore. Ri-chiedo, stavolta all’infermiera della sala operatoria. “Scusi, ma mio figlio dove è finito?” “E chi è suo figlio?” MA COME, CHI È MIO FIGLIO. “E’ venuta lei stessa a prenderlo alle 10, ricorda?” “Ah, sì, il crociato. Lo stanno operando adesso. Ma sa, il dottor I. è un tale precisino…” E menomale che è un precisino. Se non lo fosse stato, avrebbe fatto il macellaio, spero.
Non mi resta che sedermi in camera, appoggiare la testa al braccio, il braccio al letto, e chiudere gli occhi. Decido di non stare in corridoio e nemmeno di continuare a fissare la porta del blocco operatorio. Alle 14.30, arriva. E’ sveglio. Saluta. E’ vivo. Dove è finita la mia voce? Devo solo chiedergli come sta.

10 commenti:

  1. Brava! È un post bellissimo!
    Visto che quando vuoi, puoi?
    A me ha ricordato due cose:
    un raccontino, molto bello e molto ben scritto, di una mamma in attesa, che sorveglia i movimenti dentro il suo pancione;
    e poi ha ricordato una attesa -la mia- di oltre sette ore, fuori della sala operatoria dove squartavano mio padre.
    Era il Policlinico Umberto I°, la Città Universitaria; operava il più grande dei grandi, il più bravo dei bravi; ma era un lunedì -maledizione!- successivo ad un derby Roma-Lazio.
    Chi se ne intende ha capito già.
    Massacrarono mio padre, per litigare sul loro derby!
    Era il 1955. 15 anni dopo ne moriva. Quindici anni di sofferenze sue e nostre.
    Me lo hai ricordato col tuo attendere in ansia.
    Fortunatamente con un esito migliore del m,io attendere.
    Ti ringrazio del ricordo che hai provocato, anche se assai doloroso.
    Qualche volta però il dolore rinforza e redime, molto più della gioia, che dura poco, un lampo ed è già via.

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  2. ciao
    ho letto tutto di un fiato le tue sono bellissime parole di preoccupazione per un figlio... ho rivissuto per un attimo quando mi hanno operato al gomito per un doppia frattura.
    Allora non mi resta che dire buona guarigione!!!

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  3. non son sicuro di riuscire a spiegarmi ma ci provo lo stesso. Mi unisco al plauso dei miei commentatori precedenti, per lo stile incalzante, la passione che trasmette, l'odore di ospedale che traspare. Però vorrei aggiungere una riflessione. Questa nostra vita moderna ci ha abituati ad essere sempre in forma, a star bene, a curarci ogni momento, ci ha prolungato la vita e in parte ne ha migliorato la qualità. Tuttavia mi pare che ci abbia anche tolto un po' di sana fiducia, di serena attesa, di capacità di sopportare il dolore, sia quello fisico che "spitiruale", "affettivo", "morale". Mi pare che abbiamo (ovviamente mi ci metto anch'io) tanta paura che le cose non vadano secondo i nostri desideri, abbiamo paura, tanta, che per noi e per i nostri cari venga un tempo di inevitabile dolore, che, a voler ben vedere come dice il sig. Vincenzo, ha pure il suo bel perchè.

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  4. alla mia Scrittrice preferita: da quando mi hai censurato...... questo post (molto, molto, tuo) mi ha fatto ritrovare la Scrittrice che ho sempre ammirato. Sarà il delicato argomento che hai..... comunque auguri a g.i.p. sono certo che tornerà alla "normalità" in... men... che non... si dica.
    daniele

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  5. andre, chi mai va incontro alla sofferenza, al dolore, alla morte con noncuranza?
    "la mort là refudada anca ul signur" disse mia suocera il giorno dopo l'ictus a una vicina di letto che la scherniva per la sua evidente paura di morire.
    Il dolore temprerà pure, ma fa male, ed è per legittima difesa che tentiamo, ogni volta che si presenta, di schivarlo, chiudergli la porta in faccia, "allontanarne il calice", altrimenti vorrebbe dire che siamo masochisti...

    Grazie a te a ernest e a iaco per le belle parole

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  6. Daniele chi, scusa? daniele.. gabriele.. le mele le pere le palle del giardiniere.. I don't remember, sorry.
    Proviamo con la D., allora:
    D. come Domodossola, come Dado, come dentista...
    Massìììì, ora ricordo! D. come Don-daniele, come iniziale Disordine e finale Delusione, come Diversamente amico, come Dieci e lode alla tua bella faccia tosta.

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  7. Auguri per tuo figlio. La sua giovane età e la voglia di riprendere a vivere che hanno certe persone fanno miracoli anche quando c'è di mezzo un legamento crociato. Ho visto uscire da un ospedale persone che entrate sembravano aver terminato il loro cammino su questo pianeta ed altre per un semplice nevo da rimuovere non rivedere più il sole e la luna. Io sono circondata da ricordi professionali e personali, li conservo con cura come un libro da trasmettere in futuro a chi ami e vorresti condividesse le pagine memomarabili che ti hanno affascinato. Riposto nel luogo più sacro della casa ed il meno umido speri di rivederlo in mano a qualcun'altro e così pure per gli ammalati, desideri rivedere la luce di un sorriso nei loro occhi ed ascoltare nuovamente i loro passi nei corridoi.Per 9 anni ho assistito pazienti in AIDS e difficilmente negli anni '90 tornavano a casa. ora la malattia è stata resa cronica dalle nuove terapie ma allora era acuta e devastante. Vedevi persone dai 20 ai 40 anni polverizzarsi colpiti da infinite patologie e non ti rimaneva altro da fare che accompagnarli con dignità verso la morte. Spesso erano soli perchè i parenti avevano paura di questa malattia e l'ignoranza fa scappare una madre o un marito dai propri cari più di qualsiasi altra fonte di terrore. Erano disperati doppiamente avviliti per questo abbandono e per tutto il dolore del mondo che si rovesciava su di loro. I più fortunati avevano degli accompagnatori ma non li sceglievano mai ed era come una vincita a poker: ti ritrovavi in mano 4 assi senza sapere come!Il giorno in cui è morta una certa Simona seguita amorevolmente da sua madre e da altri parenti coraggiosi e leali io ho concepito mia figlia e dopo di lei sono tornata a rivedere guarire, nascere, tornare a casa le persone. Chi affronta una gravidanza deve di solito cambiare reparto ed io ho perfino cambiato vita. Mentre quella splendida ragazza, meravigliosa dentro e fuori, se ne andava via qualcuno arrivava a prendere il suo posto. Non ho chiamato mia figlia come lei ma la ricordo con grande tenerezza e quando guardo negli occhi la mia bambina penso che devo imparare ad esserci con tutta la forza che ho visto nella madre di Simona. "Amami quando non me lo meriterò perchè quello sarà il momento in cui ne avrò più bisogno". Così dicono i napoletani ed è una piccola grande verità. Ciao ed a presto

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  8. Quella frase è bellissima.
    Quante volte i nostri genitori ci hanno amati senza esserne corrisposti? E ora lo stesso succede coi nostri figli. E' una ruota che gira, si dice da queste parti.
    Penso che l'amore per i figli sia la forma di amore più assoluta, disinteressata, pura, spontanea; NON PUOI AMARE NESSUNO PIU' DI LORO, perchè è un amore nato nelle viscere prima che nei sensi o nel cervello. Almeno, questo è quello che provo io.
    Per questo non sono mai riuscita a identificarmi con donne della letteratura quali madame Bovary o Anna Karenina: non riesco a capire come si possa anteporre l'amore per un uomo all'amore per i propri figli al punto di abbandonarli.
    Forse i genitori sprovvisti di amore filiale non sono stati amati dai loro genitori e la ruota si è inceppata.
    ciao tiziana!

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  9. Ho visitato l'anno scorso un cimitero monumentale a Parigi dove sono sepollti insieme Amedeo Modigliani e la sua compagna che si suicidò 24 ore dopo la morte del pittore all'ottavo mese di gravidanza e con una bambina di pochi anni ,in quel momento con la nonna materna.Non mi ha colpito la loro storia d'amore folle e intensa quanto un romanzo ottocentesco, ne il periodo gli anni venti in cui si è dipanata, quello che porto nel mio ricordo è il suicidio con una vita che di lì a poco sarebbe nata, senza poter aspettare il parto. Chi si suicida per amore e non ci è riuscito fino in fondo racconta che non tollera affrontare i successivi 5 minuti senza l'oggetto amatoe preferisce uscire di scena. Quell'oggetto amato mi ricorda un giocattolo amato e non più ritrovato che lascia disperati i bambini piccoli non una persona in carne ed ossa, non una relazione amorosa. Alla decima settimana ho avuto un distacco di placenta poi rientrato ma per 72 ore ho visceralmente pregato tutto e tutti di aiutarmi a non abortire e mai come allora ho compreso quanto fosse forte il mio desiderio di essere madre.Non per dimostrare di poter a 34 anni di avere un figlio ma per essere e provare l'esperienza fra le più antiche del mondo ed iniziare un'avventura tra le più difficili e stimolanti della mia vita: essere madre e genitore.Non è una passeggiata ma se ti prendi l'onore e l'onere di tutto ciò le sorprese,le scoperte anche su te stessa oltre che della nuova vita che ti porti in grembo, ti lasciano senza parole.Non solo la ruota può incepparsi ed i genitori non tramandare quelle nozioni e quelle intenzioni necessarie a ripetere l'esperienza, ci sono ruote che neppure girano per paura di rovinare la catena o usurare le gomme. Le responsabilità sono vissute come una prigione,i pannolini un'impresa titanica, una febbre improvvisa un ostacolo per l'impegno del fine settimana. C'è veramente in giro chi vuol dimostrare di poter avere un figlio dopodichè ritornare a vivere come prima della sua nascita come se non ci fosse e penso che non dipenda solo dai genitori che non hanno amato o rappresentato un buon esempio, temo che siano tutte scuse: credo fermamente che amare qualcuno fino a desiderare di fare un figlio insieme sia sempre più raro come progetto di vita. Amare se stessi è più facile e soddisfacente, si rischia meno ed è più conveniente, oltremodo comodo e come Narciso rischi solo di affogare dentro la tua immagine riflessa in uno stagno. Una prospettiva di vita opinabile ma sempre più seguita e sostenuta dalle azioni e dai pensieri di chi ci circonda.Puoi non essere d'accordo ma tant'è: nulla cambia la facile disinvoltura con cui si cerca se stessi e la libertà di essere camminando sopra il cadavere di chi ci distoglie dalle nostre reali intenzioni, anche solo per aver disturbato con il nostro esistere od il nostro passo rumoroso l'attenzione verso se stessi. Un figlio può essere la scoperta di un nuovo io, il noi, oppure essere l'ostacolo per l'affermazione del proprio Ego.Di amore neanche a parlarne, figurati se le viscere possono competere con il cervello ed i suoi desideri o il corpo di un neonato essere lo stimolo per allargare la propria mente , la percezione del mondo!Sembra triste ma è solo una nuova prospettiva presa in prestito da molti e non riesco neppure a relazionarmi, a discutere oppure ad arrabbiarmi. Preferisco concentrarmi sulla crescita ed il viaggio comune che io e mia figlia dobbiamo compiere non disperdere le mie energie per fermarmi ad ammirare paesaggi desolati dell'anima che farebbero annegare anche il mio pur resistente entusiasmo. Di Anna Karenina o di Madame Bovary oggi si è persa traccia ed è necessario declinare al maschile tali nomi, non ti pare?

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  10. TIZIANA,
    un figlio è cambiamento, rinuncia, sacrificio. Cambiare vuol dire soffrire,
    la rinuncia la si attua nei confronti di ciò che ci fa scomodo,
    il sacrificio è un termine in disuso. Questo capita già nella nostra generazione.
    Cosa succederà quando saranno i nostri figli, allevati nella bambagia, deresponsabilizzati, cresciuti col sistema del -tidotuttosubitoancheprimachetulochieda- a dover fare i conti con il salto di qualità che la maternità-paternità richiede?
    Non so se sia una questione di sesso e penso che certi personaggi letterari siano eterni, anche se convengo che per un uomo è più difficile accettare la sfida della paternità.

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