mercoledì 9 febbraio 2011

Anna, anima strappata.

Commentai, senza successo tecnico, che questo caso mi toccava nel profondo, perchè non sono ancora riuscita a capire come  certe persone offese dalla vita possano riuscire a non offendere la vita a loro volta, a non vendicarsi, a non completare l'opera di demolizione di sè stessi iniziata da altri: dove trovino il coraggio di volersi ancora un po' di bene, nonostante tutto.
Queste anime torturate assomigliano a un pezzo di stoffa liso, ma con la trama intatta.
Tifo per tutte le Anne del mondo, che sono spesso donne, e per coloro che esercitano con passione l'arte del rammendo.
Nel mio lavoro ho a che fare ogni giorno con ragazzi oltraggiati  da una sindrome, da una virgola genetica, da traumi familiari, da uno scherzo del destino apparso sotto forma di una meningite, di un parto prematuro,  di mille battiti di ali di farfalla.
Basta così poco perchè il destino ti scaraventi faccia a terra.
Ci sono quelli che, sia pur con mille difficoltà, sono disposti a farsi aiutare dall'adulto.
Ci sono quelli più diffidenti, che si lasciano agganciare solo dopo parecchio tempo, e solo se l'adulto -magari solo QUELL'adulto, scelto tra gli altri- riesce a conquistare la sua fiducia.
Ci sono quelli che  hanno immagazzinato una tale dose di rabbia interna da manifestare comportamenti aggressivi, verso gli altri e verso se stessi.
L'Anna che ho conosciuto io rientrava in questa terza categoria. (a me non le ha mai date, mi strappò solo i bottoni da un maglione perchè non le piaceva il colore. Aveva ragione, faceva proprio schifo)
In  tre anni di scuola non riuscii a farle imparare niente di più di quello che aveva appreso da piccola, perchè rifiutava l'idea di non essere capace di fare qualcosa. "Tu non mi aiuti!" sbottava  davanti a un esercizio di matematica, ma appena cominciavo ad accennare a una spiegazione,  il suo naso cominciava a pompare aria come quello di un toro.
Eppure questi inconvenienti didattici erano bazzeccole, in confronto a tutti gli altri problemi.
In parole povere Anna era fuori di testa, in termini medici la diagnosi era grave psicosi.
Questa Anna  mi entrò tanto nel cuore che  anche se sono passati molti anni ho ancora una suo bel primo piano  appeso in classe.  La foto l'avevamo vinta in un centro commerciale e i suoi compagni l'avevano portata a casa come regalo per la festa del papà. Lei aveva detto che suo padre gli stava antipatico - o forse si era espressa in altro modo- e l'aveva regalata a me.
Anna andava a casa solo nelle vacanze estive e nelle festività: a un certo punto la situazione in famiglia era diventata talmente insostenibile che lei stessa aveva chiesto di rimanere in istituto anche la domenica, e il padre si era dichiarato concorde. Alla madre era stata tolta la potestà, poteva venire in centro a trovarla ma solo accompagnata, e la ragazza soffriva tantissimo per questo.
Quando a scuola faceva qualche scenata, la direttrice la toglieva dalla scena del delitto e le lasciava scegliere la classe dove voleva stare. Così a volte me la accompagnava in classe, dicendo "Anna ha bisogno di stare un pò tranquilla, sta qui per oggi" , allora la invitavo a prendere  il suo quaderno dei temi -avevo scoperto che scrivere liberamente era una delle poche attività che non la scombussolava, anzi le faceva da calmante- e intitolava: "quello che è successo oggi". In quelle pagine riversava la sua infelicità, le sue ossessioni e le sue manie. Conservo un quaderno-diario con i suoi temi, scritti in una  bella, ossessiva, ordinatissima calligrafia.
Anna  era un'anima torturata, con la stoffa strappata, non più rammendabile.
Era un caso non assimilabile a quello del post dello strizza, che invece mi ha  ricordato Erre.
Ma Erre merita  un  post tutto suo.

3 commenti:

  1. Eh no, signori, io mi ribello!
    Come si fa ad ignorare un post così delicato, così intenso,così pieno di empatia e di emozione?
    Questa piccola Anna, che sbuffa e strappa bottoni del maglione della sua insegnante non è descritta battendo le dita sulla tastiera di un PC, ma sbalzata con un bulino come un'acquaforte, o scolpita con uno scalpello come un bassorilievo.
    Non darle la dovuta attenzione è come vedere un bambino cadere, e lasciarlo sanguinante e piangente seduto per terra, girando gli occhi da un'altra parte.

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  2. C'era una ragazza Robertina, anche se aveva compiuto 16 anni, da anni veniva al Centro poi la domenica a casa. Fino a quando suo padre decise di non voleva più, sua madre scappò con un altro uomo. Lei dormiva e rimaneva nel Centro anche la domenica. Quando potevamo si organizzavano piccole gite con un pulmino regalato da una Banca del paese. Il suo carattere non era facile in più oltre molte patologie era su una sedia a rotelle. Gli volevo bene. Il Covid me l'ha portata via

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  3. Tolstoj scrive che tutte le famiglie felici si somigliano, mentre quelle infelici ognuna lo è a modo suo. Nella mia professione, invece, spesso le famiglie infelici -o disfunzionali, come si usa chiamarle adesso- sembrano fatte con lo stampino. La cosa peggiore è che, per ovvie ragioni, sovente questa infelicità si tramanda di generazione in generazione.

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