sabato 2 giugno 2012

odore di fiume

L’ odore di fiume gagliardo mi riporta all’ infanzia, una sorta di memoria olfattiva depositatasi con la ritualità delle visite domenicali al nonno, che ci aspettava sulla panchina fuori casa, un ex filatoio di un'altezza inusuale per quei tempi ante-condomini, situato a pochi metri dalle acque dell'Adda. Anni prima di fianco ad esso passava  addirittura un canale artificiale, al fine di muovere le pale di un mulino.

Prima dell'avvento delle sorelline io e mia sorella maggiore quasi gemella ci andavamo sedute sulla canna della bicicletta di papà: ho un vago ricordo di un certo mal di sedere, perchè casa nostra distava dalla casa del nonno 5, 6 chilometri, di cui l'ultimo su sterrato. 
Quando la prole raddoppiò, papà comprò una seicento bianca e cominciò a portarsi dietro tutta la tribù, mamma davanti e noi quattro dietro.
Il nonno aveva una seconda moglie che mio padre si rifiutava di chiamare mamma. Da discorsi captati tra mamma e le zie ero venuta a conoscenza del fatto che quando papà tornava dal lavoro lei neanche gli preparava da mangiare, e che seppure avessero trattenuto nella cassa familiare il suo salario per più di dieci anni, l'avevano fatto sposare senza un cinq ghei in sacocia e in dote non aveva portato nemmeno un fazzoletto
Tuttavia, prima di partire per la visita domenicale mamma lo invitava a dimenticare i rancori e  tornava alla carica con questa storia che quella donna lui doveva chiamarla mamma, perchè se lo faceva lei, poteva fare uno sforzo anche lui.
Non è mia mamma  non la chiamerò mai così e tu chiamala come vuoi, si arroccava papà, e nella mia testolina cavolo se gli davo ragione. D'altronde era il mio papà preferito. 
Per esagerare papà le dava del lei.
Dunque il nonno e la sua seconda famiglia -c'era anche un fratellastro, che papà trattava invece con bonarietà, anche perchè era poco più di un ragazzino- occupavano i primi due piani di questa vecchia costruzione con ambizioni di rudere. 
Per salire al piano delle camere c'era una scala di legno talmente malmessa e scricchiolante che mi chiedevo come facesse a reggere la mole del nonno, che con la vecchiaia era diventato grasso e indolente.
Il gabinetto era fuori, vicino alla conigliera.
 I piani superiori erano stati talmente dimenticati che sembravano essere abitati da fantasmi, con quelle finestre sempre chiuse e diroccate.  Papà ci aveva fatto notare che l’ultimo piano era più basso degli altri, perché ai tempi del filatoio in quei locali veniva impiegata manodopera infantile, e ciò era chiaramente documentato da alcune scritte ancora presenti  sui muri.
I grandi litigavano sempre, per quest'affare del nonno che viveva da indigente nonostante possedesse dei risparmi coi quali avrebbe potuto sistemarsi per la vecchiaia, e un giorno papà fece imbestialire mamma salendo fino al tetto e legandosi con una corda al camino per fare delle riparazioni urgenti per le quali il nonno non voleva spendere danè. 

La nonna era ancora più taccagna di lui, e quando ci vedeva arrivare   metteva il muso, perchè il nonno aveva un debole per una delle mie due sorelline e  le dava la mancia de nascundon
Quando entravamo nella cucina -insieme alle galline che poi ci svolazzavano intorno come se le avessimo usurpate del loro posto- nonno ordinava alla moglie di andare a prendere le ciliegine (sotto spirito) per chi tusanèt che, approfittando della sua assenza per rifilare alla smorfiosetta cinquemila, a volte addirittura diecimila lire. 
(Che mamma regolarmente requisiva verso la fine del mese, per "tirare avanti")

D’estate papà ci portava a fare il bagno sulla riva opposta rispetto alla casa del nonno, con la pretesa che imparassimo a nuotare in mezzo a gorghi e mulinelli, e arrabbiandosi per la nostra imbranataggine, 
... la nostra e quella della mamma, ma peggio di noi era messa quella tonta di sua sorella, che pur avendo avuto il privilegio di  nascere e crescere in una casa sul fiume  non aveva imparato a nuotare, cose da pazzi, e si era fatta addirittura suora, cosa addirittura dell’altro mondo, e  saper nuotare è una cosa importante, più importante di farsi suora, perchè nella vita non si sa mai cosa può capitare, anche a una suora. 
Dopo inutili tentativi basati su una terapia d’urto che non faceva che rafforzare i nostri timori, non gli restava che desistere e mostrarci  come LUI riuscisse a nuotare da una riva all’altra, più e più volte, a pelo d'acqua, con eleganza, -altro che il nostro sbatacchiar d'ali! - contrastando senza paura la corrente, che in quel punto era forte.

9 commenti:

  1. Che devo dirti: commovente. Mi viene un groppo nel gargarozzo perché mi ricorda la mia infanzia. Noi non andavamo al fiume, con un mare grande così spalancato davanti, ma andavamo a casa del fratello più piccolo di mamma, zio Aldo e zia Gina sua moglie. Ci aspettavano i cuginotti Umberto e Anna per far casino, Umberto, e per raccontare i nostri casini, Anna.
    Erano quelle giornate che preparavamo mentalmente minuto per minuto una settimana prima, che facevamo durare un'infinità, che ricordavamo poi fino alla prossima.
    E c'era anche l'acqua: quella dei fossi, dove andavamo quando arrivavano anche altri cuginotti, Gabriele Ugo e Maria Pia, con Gabriele ed Ugo che si immergevano con noi, nudi tutti come vermi, per agguantare rane e Maria Pia che non faceva la spia come Anna, che ci sformava perché non la portavamo con mille scuse.
    Mi sta venendo su tutto un po' privo di sintassi, ma è la sintassi del cuore che si fa strada.
    Anche io avevo il mio papà preferito, come te e ogni volta avevo anch'io il mal di sedere, come tutti gli altri maschietti, per le botte ricevute sopra, dato che la nostra amata cuginotta Anna aveva gridato ai quattro venti dove stavamo,nei fossi, come stavamo, nudi, e che cosa facevamo,gli acchiapparanocchie,la possino.

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    1. E' strano come, a volte, le immagini della nostra infanzia riappaiano all'improvviso dopo aver letto, per caso, un breve racconto e un brevissimo commento di due persone che neanche conosciamo e che, molto probabilmente, non conosceremo mai. Sono immagini in bianco e nero e un pò sfocate, quelle che ritornano in mente, dato il tempo che è trascorso e l'epoca in cui abbiamo vissuto quelle "avventure". Per me, il ricordo di quel tempo lontano, era l'oceano immenso e rumoroso che circondava l'isola dove abitavo. Il frastuono delle onde che frangevano sulla scogliera proprio sotto alla mia casa. Un rumore al quale finisci per abituarti e del quale, per certi versi, non puoi più fare a meno per tutta la vita. A me è successo proprio così quando sono andato via da lì, ormai adolescente. Per molto tempo ho vissuto come se, all'improvviso, mi mancasse una parte del mio corpo. Solo dopo molto tempo ho capito che mi mancava il rumore dell'oceano che aveva accompagnato tutta la mia infanzia e parte della mia adolescenza e per il resto della mia vita ho cercato di ritrovarlo. Ora so che l'unica cosa giusta da fare, per porre fine al tormento con cui ho vissuto per tutti questi anni, è di tornare nell'isola dove sono cresciuto e dove sono stato veramente felice. Forse solo così potrò dare un senso agli anni in cui ho vissuto senza mai sentirmi a casa da nessuna parte sognando di poterla trovare, un giorno, in un posto diverso da quello in cui ero. Forse solo così potrò smetterla di sentirmi precario sempre e trovare, finalmente, un pò di serenità.
      Silvia ed Enzo scusate "l'intromissione", ma si vede che, senza neanche saperlo, ero in vena di ricordi..........
      Ciao
      Edoardo

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    2. Verissimo, anonimo Edoardo; la nostalgia dei luoghi natii si sente fortissima quando se ne sta lontano.
      Una domanda, anonimo Edoardo: ma come fai a sapere che Vincenzo Iacoponi ed Enzo sono la stessa persona?

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    3. E cosa c'era di male a stare nei fossi nudi ad acchiappar ranocchie?
      Non è come stare vestiti su un prato ad acchiappar farfalle?
      Che noia erano gli adulti quando eravamo bambini!
      Che noia sono alcune specie di adulti anche adesso!

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    4. I casi sono due: o i tuoi erano molto teneri con te, oppure tu non hai mai fatto marachelle grosse; ma ai miei tempi le botte erano cose serie, non schiaffetti o sculacciate. Mio zio usava la cinghia di cuoio dei suoi pantaloni, e mia madre il battipanni di canna d'India doppia, usato a due mani.
      Le sere che andavi a letto senza dolori qua e là non ti sembrava di aver vissuto una giornata.
      Oggi guai a toccare un figlio, e i risultati si vedono.

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    5. Diciamo che si è passati da un estremo all'altro, e gli estremismi sono sempre dannosi!
      A casa mia solo mani, preferibilmente di mamma, papà quasi mai.
      Certo che quanto a scovare strumenti di correzione ne avevano di fantasia i nostri vecchi.
      G. mi racconta che sua nonna gli correva dietro brandendo un ramo di salice, che prima o poi scoccava sul dietro delle ginocchia. ahia.

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  2. @ Edoardo
    La mia memoria olfattiva ha stimolato la tua memoria uditiva ...
    E che bel ricordo. Non è da tutti crescere con lo sbatacchiare dell'onda che ti canta la ninna nanna.
    Intromettiti come e quanto vuoi, Il blog è aperto al pubblico, come tutti i blog del mondo :)

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  3. Bel racconto mi hai fatto tornare indietro alle mie origini contadine;ma per me terrorizzato dall'acqua al solo sentire parlare di gorghi e mulinelli(tristemente famosi)mi si accappona la pelle.Però hai saltato un piccolo particolare parlando del fiume:le terribili temutissime ...zanzare!

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  4. la zanzara più temibile era la mia sorellina più piccola, tanto che la chiamavamo mosca tze tze ...
    ciao cafè cafè

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