domenica 27 ottobre 2013

se te mel det


Lo sento tra le mura di questa casa, la sua casa, 
sento l'odore di sudore contadino, le viti il granoturco i fichi e le castagne

M’intenerisce il ricordo del suo modo di scuotere la testa quando le parole non servivano, 
del suo rallegrarsi quando poteva essere utile alla famiglia, con la sua operosità e il suo saper fare di tutto.

Immagino le sue spalle da lottatore di sumo 
trasportare due sacchi di cemento, un quintale di roba
all'epoca della costruzione di questa casa
… è per quello che lo sento tra le mura!
Lo immagino perché io non l’ho visto, ma così narra la leggenda
e così  ricordiamo
io e il suo amico muratore 
tra un sorriso e una lacrima
davanti alla fossa dove hanno da poco calato 
il suo corpo ancora possente stretto in una bara 
come se l'avessero fatto entrare a forza senza il suo consenso
Gli rammento anche un'immagine che mi è apparsa ieri, 
del muratore stesso che con due dita gli stringeva a morsa la clavicola, 
a mo’ di saluto tra duri, 
stupendosi ogni volta di come  l’altro reagisse a una manovra dolorosa, che solitamente piega in due la persona che la subisce, senza fare una piega, anzi ridendo.
Ridiamo di questo, e di altro.
Riderebbe anche lui, anzi gli riderebbero gli occhi, 
se potesse aprirli, 
perché bastava poco per farlo contento.
Un bicchiere di vino, 
la mortadella coi piselli, 
la verzata, 
i salamini con i fagioli, 
e di sera però stava leggero, gli bastava un piatto di pastina e un formaggino di montevecchia con sale olio aceto e prezzemolo,
il caffè (se te mel det) e quel poco di attenzione.
Forse non è lui che sento, ma la sua mancanza.

14 commenti:

  1. le case custodiscono e parlano a chi le sa ascoltare.. anime impiglate nei ricordi
    che strano questo autunno ... così pieno di persone che ci lasciano..

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    1. Chi ti é morto?
      Si è vero mi pare d'aver letto qualcosa a proposito dell' anima delle case là da te =)

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  2. A cosa mi fai pensare, Silvia, con questo tuo accorato ricordo!
    Il giorno dopo aver seppellito mia madre nella tomba di famiglia passai un fine settimana, da solo, nella sua casa, la sua e di papà, la sua di papà e la nostra, quando eravamo giovani e schizzava fuori dai nostrri pori la gioia di vivere e di conoscenza.
    Io in quel fine settimana sono rimasto sdraiato sul "suo" letto, premendo la faccia sul "suo" cuscino e dormendo e vegliando tutto il tempo. Che ho fatto? Quello che stai facendo tu adesso:
    ho ricordato (bada che non ho detto ho cercato di ricordare, era tutto davanti ai miei occhi ritornati quelli di un bambino, poi di un adolescente, poi di un giovanotto), ho ricordato ti dicevo TUTTO. Tutta la mia infinita vita passata insieme a lei. Non mi vergogno di dire che piangevo come un ragazzino, no non me ne vergogno. L'unico retaggio che rimane ad un uomo trafitto dal dolore è il pianto, anche se sono convinto che mi sarei contenuto se fossi stato in una qualsiasi altra compagnia che non fosse stata quella del mio eterno fratellone. E lui avrebbe pianto con me. Lui la amava più di me, l'aveva avuta per tredici anni di più, l'aveva conosciuta ragazza in fiore, io donna più matura - aveva venti anni quando generò Lito e trentaquattro quando mise al mondo me- lui l'aveva vista esiliata e fuggitiva da un marito che la voleva sottomettere (mio padre fu il suo secondo marito, sposato da vecchi dopo quasi quaranta anni di convivenza); io la vidi però madre disperata quando mio fratello era disperso in Russia con i resti della Divisione Cremona. Fu anche lui una delle "centomila gavette di ghiaccio"; marciò per migliaia di chilometri e ritornò dopo diciotto mesi di mancanza assoluta di notizie. Io tenni in vita il calore della speranza in mia madre, dicendole ogni momento che"il mio cuoretto mi diceva che Dado era vivo", e lei credeva in queste parole dell'innocenza. Tornò, vivo, smagrito, senza capelli e coi nervi a pezzi. E lei ricominciò a vivere e anche io.
    Tutto questo ricordai tra fiumi di lacrime mute in quell'infinito fine settimana.
    Ti capisco e ti appoggio al mio cuore in un sospiro di speranza: credici, un giorno lo rivedrai il tuo Pietro. Io so che rivedrò i miei cari e carissimi, e chi se ne frega se qualcuno adesso ridacchia.
    Credici, io ci credo.

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    1. E' sempre meglio piangerlo il dolore, così in qualche modo si diluisce.
      Se non lo piangi fuori ti si ghiaccia dentro, formando un iceberg che quando meno te lo aspetti ci sbatti contro.
      Non sapevo che tuo fratello avesse fatto la campagna di Russia!
      Caspita che storia!
      E non ha lasciato nessuna memoria?

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    2. In tutti i racconti che mio fratello, non subito, ma dopo anni mi ha fatto dietro mia costante e assillante pressione, cominciavano con lo sfondamento del fronte italiano sul Don; continuavano con la marcia nel ghiaccio fin quasi ai confini ción la Bulgaria e poi si arrestavano. Riprendevano dopo un lungo silenzio dall'Albania. Ho conosciuto poi, nche in Germania, reduci di quella infausta campagna e tutti raccontavano a gogò fino ai confini bulgari per poi tacere.
      Mi chiedo cosa deve essere successo ai confini bulgari. Cosa hanno visto gli occhi di mio fratello e gli occhi dei suoi sfortunati camerati.
      Me lo chiedo da anni.
      Non ha lasciato nessuna memoria, lui non era uno scrittore.

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    3. che peccato, avresti potuto registrarlo.
      anche il papà di un mio amico una volta mi disse con orgoglio di essere "RITORNATO DALLA RUSSIA", ma in quell'occasione non osai chiedergli niente: che stupida che ero da giovane! mi fosse capitato adesso gli avrei fatto il quinto grado!

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    4. Non so da dove era ritornato, io parlo della grande marcia di oltre centomila soldati nel ghiaccio. So di altreritirate. Una cosa ti assicuro: se avesse partecipato a quella marcia, se fosse stato una di quelle centomila gavette di ghiaccio ti avrebbe raccontato un sacco di cose meravigliosamente tragiche fino ai confini della Bulgaria e poi si sarebbe zittito.
      Ho visto Lito piangere una volta, sai quelle lacrime mute e inarrestabili. E poi Dado non era più lui, non rideva più, non mi coccolava più, solo voleva che io gli stessi vicino in silenzio, volendo il calore del mio corpo, della mia presenza.
      Mi si accappona la pelle adesso al ricordo.

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    5. lo zio luigi, zio di mio padre, stette a militare per dieci anni e tra le altre cose fece la campagna di russia; mio padre racconta che scampò alla "sacca del don" perchè, dopo aver terminato i colpi della mitragliatrice, si rifugiò in un'isba nascondendosi nel camino.

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  3. Che ricordi così teneramente tuo suocero mi commuove e mi fa venire a mente il mio, che si comportava con me come una sorta di fidanzatino, l'unico che per la festa della donna uscisse a comprarmi le mimose e i cioccolatini, a me, neanche alla moglie! :-)

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    1. Il suocero mio aveva la rudezza del contadino;
      non si è mai presentato alla porta con fiori recisi,
      piuttosto con un gallo capponato, che non sapevo mia da che parte prenderlo!

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  4. Mortadella con i piselli? Sei sicura?

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  5. non la mortadella quella rosa a pois bianchi, con i pistacchi o senza, quella che si affetta per intenderci e che qui in brianza chiamiamo "bologna", ma la mortadella di fegato di maiale!
    hai presente? quella roba qui ... che non si vede bene ...
    mi fosse venuta la caghetta nel momento in cui ho cancellato TUTTE le foto con un click!!

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  6. Che bello questo necrologio che sa di vita come poco altro.
    È un'Italia operosa, contadina anche, di persone che hanno lavorato e avevano la maestria delle mani sapienti quella che torna ad essere Terra.
    Un ritorno alla Madre che molti di loro violentarono con lo sciaguratp boom post bellico, infausta crescita demografica e cementizia.

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  7. E' così.
    La terra era dura, bassa, bassa e dura, e non sempre riconoscente.
    Come niente poteva capitare che per un banale capriccio di madre natura tutto il lavoro di una stagione andasse a ramengo.
    Logico che i nostri genitori abbiano vissuto l'industrializzazione come una improvvisa manna piovuta dal cielo.
    Purtroppo il concetto di "crescita" fuggì dalle mani, non dalle loro mani incallite ma da quelle viscide dei governi, come una innocua ebbrezza che si trasforma in una sonora sbornia.

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